Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Acc razziata, l’indagine prosegua» I sindacati e le istituzioni in rivolta
La Procura di Pordenone vuol archiviare l’inchiesta per bancarotta contro l’ex Cda Il Consiglio di Sorveglianza: «Ruberie documentate, processo ai manager da fare»
MEL «Rovina economica, lacerazione sociale e morale senza precedenti». È il destino che, secondo il Consiglio di Sorveglianza socio-istituzionale di «Acc Wanbao», negli anni scorsi ha travolto la comunità di lavoro e d’impresa dell’Acc, ex «Zanussi Elettromeccanica», di Mel. Solo che il territorio non accetta che si metta una pietra sopra questa vicenda: bisogna capire se la sventura dell’azienda sia stata dovuta a questioni industriali o alla mala gestione. I sindacati, i sindaci, la Regione, la Provincia e i parlamentari ieri nel municipio di Mel dicono no allo stop processuale e sì all’accertamento giudiziario della verità annunciati dalla Procura di Pordenone sul dissesto dell’Acc poi rilevata dai cinesi della «Wanbao». E lo fanno con un documento in bozza che sarà terminato oggi e poi inoltrato a più istituzioni, tra cui le Procure di Pordenone e Trieste.
La questione è quella dell’archiviazione richiesta il 15 gennaio dal pubblico ministero di Pordenone, Raffaele Tito dell’azione penale contro gli ex dirigenti Acc, indagati per bancarotta preferenziale, falso in bilancio e altre condotte generiche. Nella bozza si legge che «Acc era un’azienda solida e profittevole, leader nel mondo per quota di mercato nella produzione di compressori per frigoriferi. In 10 anni, i fondi d’investimento che ne sono diventati proprietari l’hanno condotta ai margini della competizione con una serie ininterrotta di scelte di gestione».
Questa è la versione del Comitato, secondo il quale «il lascito nel Bellunese di nomi altisonanti della finanza nostrana e internazionale è pari a oltre 450 milioni di euro di debiti irrecuperabili».
L’ Acc era in mano a un pool di private equity guidato da Goldman Sachs, affiancata da Aletti, Efibanca e Palladio Finanziaria. Era gestita dall’ad Luca Amedeo Ramella, dai membri del Cda Paolo Cesare Pecorella e Fausto Cosi. Il commissario straordinario Maurizio Castro, che il 23 dicembre 2014 aveva presentato querela alla Procura di Pordenone, aveva peraltro rilevato «l’ammontare delle consulenze ad Alixpartners, società di cui lo stesso Ramella era amministratore: 11,6 milioni di euro e il conferimento, con aumento di capitale, per la rivalutazione del marchio a 27 milioni di euro, quando l’azienda aveva un piede nella fossa».
Il Pm Tito, nella richiesta di archiviazione, afferma che «la perquisizione eseguita dalla Finanza non ha portato elementi utili alle tesi di accusa» e che «le altre fonti non sono omogenee». Inoltre, secondo Tito, Alixpartners elaborò due piani di risanamento. E poi, sempre per il Pm, quanto al conflitto di interessi di Ramella, benché questi avesse un doppio incarico in Acc e in Hch (la holding) «Alixpartners ebbe a ricevere il mandato dagli azionisti, con diversi rinnovi. Il presunto conflitto di interesse era voluto da questi ultimi». Quanto al conferimento dei 27 milioni di euro, «per un aumento di capitale che non venne mai eseguito», «la situazione fallimentare di Acc a fine 2011 era nota a tutti», pertanto mancherebbe il requisito dell’induzione in errore.
Nell’opposizione all’archiviazione presentata dal legale di Castro, si contesta tutta la linea. L’udienza per discutere l’opposizione il 9 maggio al gip di Pordenone. C’è anche la possibilità tecnica, dicono dal Consiglio di Sorveglianza, che la causa sia avocata prima dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste.