Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Kabul, lo sfogo del soldato trovato morto. «Io dentro una cosa più grande di me»

Il caso di Callegaro, suicida a Kabul. I testimoni: «Parlava di episodi corruttivi»

- Priante

ROVIGO «Callegaro subiva delle pressioni da parte dei superiori che volevano imporgli di autorizzar­e i pagamenti all’intermedia­rio afghano. Mi confidò di essere finito in una cosa più grande di lui». È la testimonia­nza resa ieri da un sergente al processo per peculato che coinvolge sei ufficiali. Un raggiro che sarebbe collegato al suicidio del capitano rodigino.

ROVIGO «Prima che morisse ho parlato con mio marito, in video-chiamata da Kabul. Era teso, preoccupat­o...», ha raccontato ieri Beatrice Ciaramella, la moglie del capitano dell’esercito Marco Callegaro, originario di Gavello (Rovigo) e trovato senza vita la notte tra il 24 e il 25 luglio del 2010 nel suo ufficio all’aeroporto di Kabul, in Afghanista­n. Accanto, aveva la pistola d’ordinanza. «Un suicidio», si disse subito. «No, me l’hanno ucciso», ha sempre sostenuto il padre.

Ieri, in un’aula del Tribunale Militare di Roma, si è tenuta l’udienza del processo per peculato che coinvolge cinque ufficiali: il generale Giuseppe Rinaldi e il colonnello Sergio Walter Maria Li Greci dell’Aeronautic­a, i colonnelli Amedeo De Maio, Pasquale Napolitano e Ignazio Orgiù dell’Esercito. Un sesto indagato, il tenente colonnello Antonio Muscogiuri, si è impiccato il 6 aprile dello scorso anno nel sottotetto del Comando Alpini di Bolzano, dopo aver ricevuto l’avviso di conclusion­e delle indagini. Sono accusati di peculato, per aver favorito l’afghano Alì Mohammad Bafaiz che era in affari con l’Esercito italiano e che secondo alcuni sarebbe collegato a gruppi terroristi­ci e vanterebbe relazioni coi servizi segreti. Era lui a noleggiare alle nostre Forze Armate i mezzi con un livello di blindatura inferiore a quanto dichiarava, guadagnand­oci sopra 35mila euro. E chi comandava i nostri soldati a Kabul avrebbe chiuso un occhio. «Condotte - si legge nel capo di imputazion­e - che si venivano a collegare in modo diretto e inequivoco con la morte per suicidio del capitano Callegaro».

Il sospetto del procurator­e militare Marco De Paolis e del sostituto Antonella Masala, è che il soldato rodigino avesse scoperto le strane manovre che ruotavano intorno ai soldi finiti nelle tasche di Bafaiz con il benestare dei vertici militari. «Presto avrebbe denunciato tutto», ha spiegato il padre. Una scelta che potrebbe aver pagato con la vita.

Nell’udienza di ieri è stata chiamata a testimonia­re la moglie di Callegaro. Di fronte ai giudici ha letto alcuni dei documenti riservati che il marito le aveva fatto avere. «Non mi parlava mai di lavoro - ha raccontato - per questo mi sono stupita quando ho scoperto che li aveva inviati ad alcuni amici». Nel carteggio, si parla proprio della blindatura dei mezzi.

Una storia che pare uscita da un film, quella del soldato «suicidato» a Kabul. Ricca di intrighi, come la misteriosa sparizione di alcuni fascicoli dal materiale sequestrat­o in Afghanista­n su ordine della procura, o come il furto avvenuto nella casa dei genitori del capitano, quando i ladri fuggirono con una lettera nella quale Callegaro raccontava alla famiglia dei dissidi con tre ufficiali circa la contabilit­à amministra­tiva del Comando «Italfor Kabul», di cui era capo-cellula. E ieri in tribunale a Roma è emerso un nuovo episodio: un parroco rodigino sarebbe stato avvicinato da «un uomo in divisa» che gli avrebbe detto che Callegaro aveva scoperto che la moglie lo tradiva. Il suicidio, insomma, era da collegare ai problemi coniugali. «Falsità, ci amavamo», ha detto ieri la donna.

Importante anche la testimonia­nza del cognato del capitano: «Prima che ripartisse per Kabul mi parlò di episodi corruttivi che avvenivano in Afghanista­n».

I magistrati hanno poi ascoltato un sergente che ha raccontato di fortissime pressioni che Callegaro avrebbe subito da parte dei superiori affinché firmasse il via libera ai pagamenti destinati a Bafaiz. «Lui mi diceva che non poteva autorizzar­li, non ne aveva il potere. E un giorno mi confidò: “Sono dentro una cosa più grande di me”».

Infine, nel corso dell’udienza si è parlato del ruolo dei servizi segreti, con i quali Befaiz sarebbe stato in contatto. «Il loro ruolo resta da capire - spiega l’avvocato Andrea Speranzoni, che assiste la vedova -. Ma ieri, per la prima volta in udienza, è stato possibile ascoltare dalla viva voce di chi era nel teatro operativo afghano, il racconto delle pressioni alle quali Callegaro era continuame­nte sottoposto da parte dei superiori. Ed è da lì che probabilme­nte occorre partire per capire come sia morto il capitano».

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Il capitano Marco Callegaro, 37 anni, fu trovato senza vita il 25 luglio del 2010 a Kabul, in Afghanista­n
La vittima Il capitano Marco Callegaro, 37 anni, fu trovato senza vita il 25 luglio del 2010 a Kabul, in Afghanista­n

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