Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Guardie e ladri nel quartiere delle mimose
L’ira del quartiere: «Non compratele agli incroci»
MESTRE Un quartiere si fa l’albero di mimose. E organizza turni di guardia per evitare che sia depredato dai venditori abusivi. Salta però un turno. Esplode la rabbia.
MESTRE Non sono bastati i turni di guardia. Non i cartelloni contro lo scippo delle mimose. Un intero quartiere si è mobilitato - dai residenti ai commercianti passando per i vigili che, spostandosi dal vicino comando, hanno monitorato i fiori gialli - ma niente da fare. Anche quest’anno l’albero di mimose di via Cappuccina a Mestre è stato depredato, i rami strappati e i fiori trafugati.
Oggi, di quella che era una folta chioma gialla non è rimasto che qualche ciuffo, comunque amatissimo dai mestrini che promettono di non farla passare liscia ai ladri. «Impediamo che vendano le mimose», si legge sul cartello affisso all’arbusto e sui social network.
Tanta è l’indignazione, soprattutto tra le donne. Dal 1946, la mimosa è il simbolo dell’8 marzo, la Festa delle donne, e molte mestrine, dopo lo scippo all’albero di via Cappuccina, ieri hanno chiesto di non ricevere mazzetti di fiori gialli, specie se acquistati ad un semaforo o in un angolo di strada da un venditore abusivo: «Fatemi un favore, non comprate mimose», ha scritto ieri sui social più di una donna. Da simbolo di rispetto per il genere femminile, la mimosa di Mestre è diventata emblema di degrado urbano.
L’alberello è in via Cappuccina da sempre, piantato in un fazzoletto di terra in mezzo al cemento dei palazzoni costruiti negli anni del boom economico ed è sopravvissuto a tutto, a decine di cantieri, compresi quelli del tram. E quando, a febbraio, iniziano a spuntare i fiori, la chioma regala un po’ di colore al grigiore della via. Sarà per questo che chi vive e lavora nel quartiere, che poi è lo stesso di via Piave e della stazione ferroviaria da anni nell’occhio del ciclone per spaccio e microcriminalità, si è affezionato alla mimosa tanto da decidere di proteggerla.
Tutto è nato qualche anno fa quando in vista di un 8 marzo l’albero è stato depredato e, tra la rabbia e lo sconforto, un gruppo di abitanti ha pensato, prima, di lasciare cartelli («Non rubate le mimose») nelle settimane precedenti la Festa della donna. I messaggi non hanno portato ad alcun risultato e, quindi, due anni fa la chioma è stata coperta da un telone. Nemmeno la protezione ha evitato i furti e così lo scorso marzo sono iniziati i picchetti di guardia a cavallo della festa della donna. Ma i volontari, nonostante il tam tam sui social, non sono bastati a coprire tutte le ore del giorno e della notte e lo sforzo di presidiare l’arbusto non è servito ad evitarne lo scempio.
Ieri mattina, poco prima delle 6, qualcuno, probabilmente con uno sgabello, ha reciso tutti i rami più alti. «Una banda di squallidi ha distrutto l’albero delle mimose ha protestato su Facebook Michele Boato, ambientalista e portavoce dell’associazione Amico albero - Sono stati visti spartirsi i rametti nelle vie vicine. Domani (oggi, ndr) impediamo a questi “signori” di venderli per strada».
Il post è stato condiviso da centinaia di residenti e dal gruppo Facebook «Mestre mia» dove la polemica si è infiammata tra richieste di intervento dei vigili, punizioni esemplari e accuse contro quei componenti della comunità bangladese che vendono fiori agli angoli delle strade. Garantiscono i vigili: «Abbiamo organizzato come ogni anno squadre per contrastare la vendita abusiva di mimose, interverremo».
Si affianca alla protesta dei residenti la Cgia di Mestre, «a ogni ricorrenza che si sposa con l’omaggio floreale dilaga a macchia d’olio il numero di abusivi - dice Laura Bargossi, rappresentante dei fioristi di Cgia - Il danno economico che le imprese subiscono è notevole, dietro questi venditori abusivi ci sono organizzazioni criminali che con queste attività realizzano profitti milionari, mettendo sul lastrico centinaia di piccole attività commerciali e artigianali del settore che nulla possono contro questa forma di concorrenza sleale».