Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Bene, anzi male
incidenza di questa condizione, che interessa perlopiù le famiglie giovani (e qui si capisce il crollo dei matrimoni e delle nascite), del Mezzogiorno e degli immigrati, è salita al 23 per cento, un livello molto elevato. Ed è stato dimostrato (si legga «La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici», Feltrinelli) che la disuguaglianza accende una infinità di malesseri sociali, dalla violenza alle malattie, dall’obesità all’ignoranza. In secondo luogo più lavoro non significa però né più reddito né buoni lavori. Una ricerca di Censis e Confcooperative ha infatti evidenziato un mercato del lavoro giovanile ricco, troppo ricco, di lavori a bassa intensità e di bassa qualità. Una occupazione in realtà avvelenata da numerosissime occasioni di sottoccupazione, di lavori che in realtà sono «lavoretti» la cosiddetta gig economy americana – all’insegna della provvisorietà, della scarsa qualificazione (i cosiddetti «lavori gabbia») e soprattutto dalle paghe modeste o insufficienti.
Insomma, un bel paradosso: più crescita, ma anche più disuguaglianza; più lavoro, ma anche più povertà (retributiva e professionale). Due mali oscuri – per usare le parole dello scrittore Giuseppe Berto – che accompagnano la attuale ripresa economica in cui pure il Veneto sembra eccellere. Una ripresa che quindi, schizofrenicamente, appare laterale, fredda, non in grado di influenzare il benessere sociale.