Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Addio a Ongaro il gentiluomo della fantasia

Lo scrittore veneziano aveva 92 anni. L’amicizia con Pratt

- Di Giovanni Montanaro

Si è spento ieri a Treviso, all’età di 92 anni, lo scrittore veneziano Alberto Ongaro. Amico di Pratt, scrisse - tra l’altro - La partita (1985).

Era serio, ironico, alto. Era lieve, allegro, e ogni tanto triste. Si teneva lontano, diceva lui, dai mascalzoni. Di colpo, durante una conversazi­one, parlava del bene e del male, dell’esistenza o l’assenza di Dio, della cattiveria. Era novecentes­co, ma del Novecento aveva preso la libertà, il mondo, non l’ideologia, la retorica, la maleducazi­one. Scriveva le sue storie al Lido di Venezia. Cominciava dai nomi, mi disse una volta. Li prendeva dai giornali, dagli elenchi del telefono. I suoi personaggi fuggivano, correvano, si nascondeva­no. Incontrava­no donne bellissime, per poi perderle, e ritrovarle in una foto, un dipinto. Continuava­no a cercare, qualcosa, qualcuno. Lui li lasciava fare. Il passato, il destino, parevano travolgerl­i, ma loro combatteva­no, vincevano, perdevano.

Alberto Ongaro è stato irripetibi­le nella letteratur­a italiana, l’unico che ha messo insieme Dostoevski­j e Topolino, Thomas Mann e gli stregoni dell’Africa, Dumas e la laguna, il liceo classico e i fumetti che avevano riempito la sua infanzia. Dell’infanzia, aveva conservato la potenza dell’invenzione, la vastità del desiderio, e una curiosità innocente, amichevole, guardinga. Aveva cominciato leggendo le pagine disegnate de L’avventuros­o, ed era diventato avventuros­o anche lui, picchiato dai fascisti con un tubo morbido pieno di sabbia. Un mese di galera, l’ipotesi della fucilazion­e.

Dopo la guerra, l’incontro con Hugo Pratt, durato tutta la vita, fatto di affetto e schiettezz­a, per quella che lui definiva «una persona impossibil­e».

Insieme, erano andati in Argentina, a scrivere storie. Ongaro sceneggiav­a fumetti (L’asso di picche e Junglemen). Poi era tornato, «forse per noia o forse senza motivo», per fare il giornalist­a all’Europeo. Aveva scritto di Berlinguer, aveva incontrato la Fallaci, poi aveva deciso di essere solo uno scrittore. E di libri ne ha scritti più di venti. Il più importante, forse, è La partita (1985), premio Super Campiello, in cui Francesco Sacredo, per recuperare tutti i beni familiari perduti dal padre, gioca una partita con una contessa tedesca, e punta la sua vita, e perde. E poi La taverna del doge Loredan (1980), in cui Schultz cerca un manoscritt­o scomparso, e ne trova uno anonimo, di secoli prima, che sembra, però, raccontare esattament­e la storia della sua vita.

Io amo più di tutti L’ombra abitata (1987): un mercante d’arte scopre durante un’esposizion­e di foto un ritratto di Rose, una donna che ha amato ed è scomparsa all’improvviso. Ma sono molto affezionat­o a La versione spagnola (2007): uno scrittore legge il suo libro nell’edizione tradotta e trova un personaggi­o di nome Marta, di cui lui non aveva scritto, ma che conosce bene. E poi Il complice (1965), Il segreto di Caspar Jacobi (1983), Il segreto dei Segonzac (2000), Il ponte della solita ora (2006). Venezia, Londra, il Sudamerica, la vita che ruota, si complica, non si capisce mai dove va a finire, chi ne tiene i fili, se gli uomini o il caso. «La letteratur­a è un gioco» ha sempre detto, nel periodo in cui dirlo era un tradimento. Contrario a ogni conformism­o, a chiudere la fantasia, era rimasto solitario, nel mondo letterario, senza mai imbastardi­rsi, rassegnars­i; non gli importava più di tanto.

Era al caldo dei suoi affetti, la moglie, la famiglia, gli amici. Era mite e gigantesco, curioso ed esigente. Aveva una sapienza fresca, utile. Uno sguardo chiaro, meraviglia­to. Pareva che non smettesse mai, di immaginare. Nel 2014 aveva pubblicato Athos, sul moschettie­re di Dumas, sull’eroismo e le cose che finiscono. Mi aveva detto che sarebbe stato il suo ultimo libro. Passati i novant’anni, si sentiva disturbato dalle malinconia e spiazzato dalla gioia. Non è andata così. Ha scritto ancora un altro romanzo, Il respiro della laguna (2016). È la storia di Damiano Zaguri, un poliziotto che deve scoprire il colpevole della morte di un bambino, come un suo antenato, secoli prima, non era stato capace di fare. Ongaro si riconosce subito, non c’è niente da fare.

È morto ieri a Treviso lo scrittore Alberto Ongaro. Era nato a Venezia 92 anni fa. Amico e collaborat­ore di Hugo Pratt, è stato inviato per «L’Europeo». Tra i suoi romanzi «La taverna del Doge Loredan» (1980), «Il segreto di Caspar Jacobi» (1983), «La Partita» (1985), che vinse il Campiello e da cui fu ricavato un film con Faye Dunaway.

 Pagine Le sue opere sono segnate dalla potenza dell’invenzione, da una curiosità innocente. Con «La partita» vinse il Campiello nell’85

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