Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«È la più grande operazione contro la povertà mai fatta in Italia»
«Quella messa in campo dal Pd è la più grande operazione contro la povertà mai realizzata in Italia. Ora il Movimento Cinque Stelle prova a rilanciare ma è difficile valutare le sue proposte...».
Perché?
«Perché cambiano in continuazione, sono, per così dire, liquide. Hanno vinto le elezioni al Sud parlando di reddito di cittadinanza; adesso riconoscono che il nostro reddito di inclusione, una misura che esiste in molti Paesi europei, non è poi tanto male; per il futuro Di Maio parla di generiche “misure contro la povertà”. Come ci si può confrontare? È la stessa linea ondivaga che stanno tenendo nelle consultazioni col Quirinale: “Potremmo fare il governo col Pd ma anche con la Lega”. Capisce? Per loro, fa tutto lo stesso, basta improvvisare al momento».
Alessandro Zan, deputato padovano rieletto il 4 marzo, è stato uno dei firmatari della legge per il reddito di inclusione (il Rei).
Sta funzionando?
«È presto per fare un bilancio, è in vigore dal primo gennaio per le famiglie e lo sarà dal primo luglio per le persone. La risposta che stiamo avendo sul territorio, però, è positiva».
I precedenti non hanno avuto successo: nel 2012 ci fu la Carta Acquisti, nel 2015 il Sostegno per l’inclusione attiva (il Sia). L’impressione è che si tratti di palliativi per un problema, la povertà, che invece dilaga.
«La povertà è un problema enorme che coinvolge, in modo grave, 4 milioni di italiani. Il governo, a più riprese, ha tentato di intervenire, in modo più o meno efficace. Il nodo, se vuole, è sempre quello: servono soldi e ne servono tanti. Il Pd ha stanziato per il Rei 3 miliardi, una cifra che a questa voce non si
era mai vista prima. Possiamo chiamarlo “palliativo”?».
C’è chi, specie nel centrodestra, lo chiama «assistenzialismo».
«Il reddito di cittadinanza immaginato dai Cinque Stelle è assistenzialismo, allo stato puro. Tanto è vero che, per come l’hanno congegnato loro, esiste soltanto in Alaska. Si traduce così: io ti do un assegno, e addio».
Il reddito di inclusione è diverso?
«Innanzitutto ci sono requisiti precisi e stringenti. Poi una parte dei 3 miliardi sono serviti per allestire equipe di assistenti sociali nei Comuni, o di assumerne almeno una nei tanti municipi, specie al Sud, in cui proprio non c’erano. Quando si accede al Rei, si attiva con i servizi sociali del Comune un progetto che coinvolge l’intera famiglia con l’obiettivo di superare la situazione di disagio e reinserire la persona all’interno del mercato
del lavoro, grazie alla presa in carico da parte dei centri per l’impiego. Lo Stato, insomma, non ti dà i soldi e stop ma ti accompagna lungo un percorso. Anche per questo si è scelto di utilizzare una card».
Perché?
«Della cifra che viene accreditata nella card solo metà può essere prelevata. L’altra metà può essere spesa solo in beni di prima necessità, come gli alimentari o i farmaci. In questo modo, evitiamo che gli aiuti vengano sperperati in Gratta & Vinci o bevute al bar».
Ma non c’è il limite delle tre chance di lavoro, pena la perdita del diritto al sussidio, previsto dal M5S.
«Non ce n’è bisogno, proprio perché il Rei non si basa sull’ultimatum al cittadino ma sul suo coinvolgimento in un progetto più ampio ed articolato per l’emancipazione».