Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
BANCHE, PALLA ALLA POLITICA
Viviamo, come scrisse più di vent’anni or sono il grande giurista e pensatore Stefano Rodotà, in una società satura di diritto, di regole giuridiche di provenienze e finalità disparate, sovente stratificatesi in maniera disordinata; di un diritto invadente in tanti settori e invece sostanzialmente assente laddove maggiormente se ne avvertirebbe la necessità. Una convinzione che, da tempo, fa parte del sentire comune e probabilmente anche del nostro dna e che la latitanza della politica non fa che acuire. Le vicende della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca risultano emblematiche. Come tutti sanno, sono in corso i relativi procedimenti penali, allo stato essenzialmente per aggiotaggio e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle Autorità di Vigilanza. Procedimenti che, circondati da grandi aspettative, restituiscono, quanto meno dalla lettura dei resoconti, una dinamica e dialettica processuale che si svolge secondo quelle che sono le regole dettate dall’ordinamento, e, tuttavia, di difficile comprensione e accettazione. Prendiamo, ad esempio, il recente, contestato provvedimento del giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma che, nel caso di Veneto Banca, ha dichiarato la propria incompetenza territoriale, a favore del Tribunale di Treviso, in relazione all’accusa di ostacolo all’attività di vigilanza.
Il motivo è comprensibile: se la norma punisce l’esposizione di fatti falsi sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria del vigilato, l’occultamento con altri mezzi fraudolenti di fatti da comunicare (ovvero il consapevole ostacolo, in qualsiasi forma, delle funzioni delle autorità di vigilanza), può non essere irragionevole pensare che queste condotte, se poste in essere, lo siano state a Montebelluna. Ma non è del merito di questo provvedimento che si intende ragionare, bensì di alcuni aspetti fondamentali utili a inquadrare correttamente i problemi. Primo: se si osserva la formulazione della norma non si può non convenire sul fatto che le espressioni utilizzate sono piuttosto ampie, dunque di per sé suscettibili di essere riempite di contenuti concreti differenti e variegati. Secondo: l’individuazione del giudice territorialmente competente non può dirsi, in queste materie, inequivoca e certa, appunto in quanto correlata a questioni tecnicogiuridiche spesso di elevata complessità. Anche nel caso del «primo sequestro» da 106 milioni di euro di Banca Popolare di Vicenza si pose una questione di competenza territoriale. Non può reputarsi coraggioso un giudice perché ammette, sulla base di una propria interpretazione delle norme, la chiamata di Intesa Sanpaolo come responsabile civile nel processo a carico degli ex vertici di Veneto Banca; e poi gridare allo scandalo perché lo stesso giudice, sempre in base a una propria interpretazione delle norme, assume la decisione che conosciamo sul tribunale competente. Bisogna invece prendere confidenza con l’idea che le norme scritte fisiologicamente vivono nel significato, nell’interpretazione che danno loro i giudici, nei rispettivi ruoli, anche di «reciproco controllo». E che, appunto, non si può caricare il diritto e il processo penale di aspettative e prestazioni che non possono per loro natura dare. Tocca alla politica, nello specifico considerando la complessiva «operazione di sistema» effettuata, dotare il Fondo di ristoro di mezzi adeguati. Più in generale, tocca alla politica prendere una volta per tutte in mano la questione giustizia e, anzitutto, rimediare all’endemica carenza di risorse che rischia sempre più spesso di trasformare ordinarie dinamiche procedimentali in vicende esiziali per i processi.