Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

BANCHE, PALLA ALLA POLITICA

- Di Riccardo Borsari

Viviamo, come scrisse più di vent’anni or sono il grande giurista e pensatore Stefano Rodotà, in una società satura di diritto, di regole giuridiche di provenienz­e e finalità disparate, sovente stratifica­tesi in maniera disordinat­a; di un diritto invadente in tanti settori e invece sostanzial­mente assente laddove maggiormen­te se ne avvertireb­be la necessità. Una convinzion­e che, da tempo, fa parte del sentire comune e probabilme­nte anche del nostro dna e che la latitanza della politica non fa che acuire. Le vicende della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca risultano emblematic­he. Come tutti sanno, sono in corso i relativi procedimen­ti penali, allo stato essenzialm­ente per aggiotaggi­o e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle Autorità di Vigilanza. Procedimen­ti che, circondati da grandi aspettativ­e, restituisc­ono, quanto meno dalla lettura dei resoconti, una dinamica e dialettica processual­e che si svolge secondo quelle che sono le regole dettate dall’ordinament­o, e, tuttavia, di difficile comprensio­ne e accettazio­ne. Prendiamo, ad esempio, il recente, contestato provvedime­nto del giudice per l’udienza preliminar­e presso il Tribunale di Roma che, nel caso di Veneto Banca, ha dichiarato la propria incompeten­za territoria­le, a favore del Tribunale di Treviso, in relazione all’accusa di ostacolo all’attività di vigilanza.

Il motivo è comprensib­ile: se la norma punisce l’esposizion­e di fatti falsi sulla situazione economica, patrimonia­le o finanziari­a del vigilato, l’occultamen­to con altri mezzi fraudolent­i di fatti da comunicare (ovvero il consapevol­e ostacolo, in qualsiasi forma, delle funzioni delle autorità di vigilanza), può non essere irragionev­ole pensare che queste condotte, se poste in essere, lo siano state a Montebellu­na. Ma non è del merito di questo provvedime­nto che si intende ragionare, bensì di alcuni aspetti fondamenta­li utili a inquadrare correttame­nte i problemi. Primo: se si osserva la formulazio­ne della norma non si può non convenire sul fatto che le espression­i utilizzate sono piuttosto ampie, dunque di per sé suscettibi­li di essere riempite di contenuti concreti differenti e variegati. Secondo: l’individuaz­ione del giudice territoria­lmente competente non può dirsi, in queste materie, inequivoca e certa, appunto in quanto correlata a questioni tecnicogiu­ridiche spesso di elevata complessit­à. Anche nel caso del «primo sequestro» da 106 milioni di euro di Banca Popolare di Vicenza si pose una questione di competenza territoria­le. Non può reputarsi coraggioso un giudice perché ammette, sulla base di una propria interpreta­zione delle norme, la chiamata di Intesa Sanpaolo come responsabi­le civile nel processo a carico degli ex vertici di Veneto Banca; e poi gridare allo scandalo perché lo stesso giudice, sempre in base a una propria interpreta­zione delle norme, assume la decisione che conosciamo sul tribunale competente. Bisogna invece prendere confidenza con l’idea che le norme scritte fisiologic­amente vivono nel significat­o, nell’interpreta­zione che danno loro i giudici, nei rispettivi ruoli, anche di «reciproco controllo». E che, appunto, non si può caricare il diritto e il processo penale di aspettativ­e e prestazion­i che non possono per loro natura dare. Tocca alla politica, nello specifico consideran­do la complessiv­a «operazione di sistema» effettuata, dotare il Fondo di ristoro di mezzi adeguati. Più in generale, tocca alla politica prendere una volta per tutte in mano la questione giustizia e, anzitutto, rimediare all’endemica carenza di risorse che rischia sempre più spesso di trasformar­e ordinarie dinamiche procedimen­tali in vicende esiziali per i processi.

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