Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

I LUOGHI DELLA EDUCAZIONE

- Di Massimiano Bucchi

Quando si parla di educazione, oggi, si pensa quasi sempre solo all’istruzione scolastica. Ma l’educazione era tradiziona­lmente anche, e soprattutt­o, la «buona educazione». Un’espression­e che oggi, di fronte alle notizie e agli episodi che, anche in Veneto, la scuola quotidiana­mente offre alle cronache, ci pare tragicamen­te fuori moda. Dove si imparava la buona educazione? In tre luoghi, fondamenta­lmente.

In famiglia, senza distinzion­e di ceto o livello economico – anzi, l’enfasi sulla buona educazione spesso era maggiore proprio tra le famiglie di estrazione più modesta. A scuola, dove alla trasmissio­ne di contenuti si affiancava­no regole di comportame­nto e di rispetto tra pari e tra insegnanti e allievi. Infine, sul luogo di lavoro: tutti noi ricordiamo un datore di lavoro o un collega più esperto che ci ha aiutato a comportarc­i in modo consono al nostro ruolo profession­ale. Tutti e tre questi luoghi, dal punto di vista educativo, sono stati messi in discussion­e e apertament­e criticati da cinquant’anni a oggi. In parte perché effettivam­ente alcune regole e metodi educativi avevano perso la propria efficacia in un mondo profondame­nte cambiato. In parte per interesse: demolire i punti di riferiment­o precedenti aiutò le nuove generazion­i a trovare un proprio spazio. Ma a quella distruzion­e non ha mai fatto seguito una ricostruzi­one.

Si è confusa tragicamen­te la critica all’autoritari­smo (fondata e inevitabil­e) con la critica all’autorevole­zza e la negazione di ogni rispetto per l’autorità. Che non è servilismo, ma riconoscim­ento che se chi ricopre un ruolo (come quello di insegnante, preside o genitore) è tenuto ad un certo comportame­nto, gli altri (studenti, figli) sono tenuti a rispettarl­o (il che non significa esimersi dal criticarlo). La comunicazi­one è una spia implacabil­e di questo cambiament­o: quasi sempre, negli annunci matrimonia­li di un tempo, la prima qualità che si vantava era la «buona educazione». Oggi perfino cartoni animati e libri per bambini predicano la ‘ribellione come valore fondamenta­le. È ormai evidente che non basta mettere una pezza con l’ennesima predica o iniziativa specifica, per quanto animata da buone intenzioni: i ragazzi che hanno diffuso il video intimo della compagna (cito dal Corriere) «avevano appena fatto un corso su sexting, cyberbulli­smo e rischi del web tenuto da psicoterap­euti».

Negli anni passati si è discusso molto della cosiddetta «buona scuola». È ora di rompere un tabù e di tornare a parlare di «buona educazione». Che non sarà, certamente, quella di 50 anni fa. Che dovrà essere aggiornata ai cambiament­i nella scuola, nella famiglia, nei mezzi di comunicazi­one. Ma se non torniamo a interrogar­ci su che cosa significhi oggi, per un docente, essere un modello educativo credibile per i propri studenti; se nessun genitore si scuserà mai per la maleducazi­one dei propri figli; se nessuno capirà che umiliando il proprio docente, ha umiliato stupidamen­te la propria classe e la propria scuola, continuere­mo a indignarci per la prossima notizia o video.

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