Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I LUOGHI DELLA EDUCAZIONE
Quando si parla di educazione, oggi, si pensa quasi sempre solo all’istruzione scolastica. Ma l’educazione era tradizionalmente anche, e soprattutto, la «buona educazione». Un’espressione che oggi, di fronte alle notizie e agli episodi che, anche in Veneto, la scuola quotidianamente offre alle cronache, ci pare tragicamente fuori moda. Dove si imparava la buona educazione? In tre luoghi, fondamentalmente.
In famiglia, senza distinzione di ceto o livello economico – anzi, l’enfasi sulla buona educazione spesso era maggiore proprio tra le famiglie di estrazione più modesta. A scuola, dove alla trasmissione di contenuti si affiancavano regole di comportamento e di rispetto tra pari e tra insegnanti e allievi. Infine, sul luogo di lavoro: tutti noi ricordiamo un datore di lavoro o un collega più esperto che ci ha aiutato a comportarci in modo consono al nostro ruolo professionale. Tutti e tre questi luoghi, dal punto di vista educativo, sono stati messi in discussione e apertamente criticati da cinquant’anni a oggi. In parte perché effettivamente alcune regole e metodi educativi avevano perso la propria efficacia in un mondo profondamente cambiato. In parte per interesse: demolire i punti di riferimento precedenti aiutò le nuove generazioni a trovare un proprio spazio. Ma a quella distruzione non ha mai fatto seguito una ricostruzione.
Si è confusa tragicamente la critica all’autoritarismo (fondata e inevitabile) con la critica all’autorevolezza e la negazione di ogni rispetto per l’autorità. Che non è servilismo, ma riconoscimento che se chi ricopre un ruolo (come quello di insegnante, preside o genitore) è tenuto ad un certo comportamento, gli altri (studenti, figli) sono tenuti a rispettarlo (il che non significa esimersi dal criticarlo). La comunicazione è una spia implacabile di questo cambiamento: quasi sempre, negli annunci matrimoniali di un tempo, la prima qualità che si vantava era la «buona educazione». Oggi perfino cartoni animati e libri per bambini predicano la ‘ribellione come valore fondamentale. È ormai evidente che non basta mettere una pezza con l’ennesima predica o iniziativa specifica, per quanto animata da buone intenzioni: i ragazzi che hanno diffuso il video intimo della compagna (cito dal Corriere) «avevano appena fatto un corso su sexting, cyberbullismo e rischi del web tenuto da psicoterapeuti».
Negli anni passati si è discusso molto della cosiddetta «buona scuola». È ora di rompere un tabù e di tornare a parlare di «buona educazione». Che non sarà, certamente, quella di 50 anni fa. Che dovrà essere aggiornata ai cambiamenti nella scuola, nella famiglia, nei mezzi di comunicazione. Ma se non torniamo a interrogarci su che cosa significhi oggi, per un docente, essere un modello educativo credibile per i propri studenti; se nessun genitore si scuserà mai per la maleducazione dei propri figli; se nessuno capirà che umiliando il proprio docente, ha umiliato stupidamente la propria classe e la propria scuola, continueremo a indignarci per la prossima notizia o video.