Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Erano terroristi legati all’Isis condannati i kosovari di Rialto

Tredici anni suddivisi fra i tre imputati che continuano a dirsi innocenti I legali fanno ricorso: «Nulla di concreto». A fine pena saranno espulsi

- Alberto Zorzi

VENEZIA Tra di loro avevano parlato dell’ipotesi di colpire a Venezia con i coltelli, magari proprio nel periodo di Carnevale, approfitta­ndo delle maschere. Si erano fotografat­i chi al poligono di tiro, chi con un kalashniko­v (dicendo poi, nella scorsa udienza, che andava «a caccia») e condividev­ano video tutorial su come sgozzare gli «infedeli». E soprattutt­o, nel corso di un’altra conversazi­one captata dalle forze dell’ordine in quell’appartamen­to della zona di San Marco dove si riunivano, il più giovane del gruppo aveva puntato alto: «A Venezia guadagni subito il paradiso per quanti miscredent­i ci sono qua... Metti una bomba... a Rialto». Ora i quattro presunti terroristi kosovari, arrestati un anno fa, sono stati tutti condannati.

Dopo che il 17enne aveva subito una pena di 4 anni e 8 mesi da parte del gup del tribunale dei minorenni a fine gennaio, ieri è arrivata la sentenza anche per i tre maggiorenn­i, a processo con il rito abbreviato di fronte al gup Massimo Vicinanza: il giudice ha condannato a 5 anni il 28enne Arjan Babaj, considerat­o l’«ideologo» del gruppo, mentre ha dato 4 anni al 27enne Dake Haziraj e al 25enne Fisnik Bekaj. Per Babaj ha imposto l’interdizio­ne perpetua dai pubblici uffici, per gli altri due quella temporanea. Tutti e tre, quando avranno finito di scontare la loro pena, dovranno essere espulsi dal territorio italiano. Era stato il pm antiterror­ismo Francesca Crupi, sotto la guida dell’allora procurator­e capo reggente di Venezia Adelchi d’Ippolito, a coordinare le indagini di carabinier­i e polizia, basate su una montagna di intercetta­zioni ambientali che avevano captato i discorsi sempre più estremisti­ci del gruppo, oltre a raccoglier­e sui social network (attraverso profili «chiusi», tanto che è stata necessaria una rogatoria negli Stati Uniti presso Facebook per «aprirli») la ricca attività di proselitis­mo, di diffusione dei messaggi violenti e di entusiasmo per altri attentati avvenuti in quei mesi in tutto il mondo. «La sentenza di oggi e quella del tribunale dei minorenni sono un grande successo della procura - dice d’Ippolito, che oggi è procurator­e aggiunto - sono state accolte tutte le nostre richieste, a conferma che è stata una lunga indagine approfondi­ta e meticolosa, svolta in ogni direzione e condotta con grande profession­alità da polizia e carabinier­i».

I tre giovani, dopo la lettura della sentenza, hanno ribadito la loro innocenza. In realtà non si aspettavan­o un esito molto diverso, visto che si trovano da mesi nei due carceri di Sassari (Bekaj) e Rossano Calabro (Babaj e Haziraj), che sono pieni di musulmani accusati di terrorismo e già condannati per situazioni simili alla loro. Ovviamente i loro avvocati, che ieri hanno subito annunciato il ricorso in appello, hanno una posizione ben diversa da quella della procura. «La legge italiana dice che è punibile ogni atto idoneo a determinar­e un fine, ma ormai con il terrorismo la rilevanza penale è anticipata commenta l’avvocato di Babaj, Vittorio Platì, che sta seguendo molti altri processi per questo reato in tutta Italia - Ci sono telefonate, intercetta­zioni, ma nulla di concreto. Siamo vicini alla censura, questi signori, per il fatto di essere musulmani, non si possono nemmeno documentar­e su ciò che avviene in Siria». «In aula l’abbiamo definito “diritto penale del nemico” - aggiunge l’avvocato Stefano Pietrobon, difensore di Bekaj - si è creato un sistema ad hoc per il terrorismo. Nelle intercetta­zioni c’erano farneticaz­ioni ideologich­e, ma secondo me sarebbe servito qualcosa di più per la condanna: al massimo ci poteva stare l’apologia di reato». «Il giudice ha comunque dato delle pene minori a quelle richieste dal pm e riconosciu­to la diversa posizione del nostro cliente», spiegano gli avvocati di Haziraj, Alessandro Compagno e Patrizia Lionetti.

Adelchi D’Ippolito Accolte le richieste, a conferma di un’indagine meticolosa: grazie a polizia e carabinier­i

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