Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«25 aprile, basta liti ideologiche» L’appello di Zaia e i distinguo
Appelli alla pacificazione. Il timore degli storici: «I fatti vanno ricordati, le colpe distinte»
«Basta a contrapposizioni e conflitti ideologici, festeggiamo insieme Liberazione e San Marco» dice Luca Zaia. Riccardo Calimani, però, specifica: «La Serenissima è nel mio cuore ma mi pare più importante festeggiare la fine del nazifascismo» .
VENEZIA Se c’è un 25 aprile in cui le polemiche scolorano e la politica veneta, a partire dal Carroccio che ha archiviato il disprezzo per il tricolore, invoca la fine delle contrapposizioni ideologiche, è questo. «Questo giorno, oltre a commemorare la vittoria sul nazifascismo, - spiega, ecumenico, il governatore Luca Zaia assume anche un forte valore identitario, di festa dedicata a quel Santo cui tutti noi siamo indissolubilmente legati. Mi auguro che, almeno quest’anno, si evitino le sterili battaglie ideologiche». Accentuando l’equilibrismo della Lega nell’era delle aspirazioni governative, il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti invita tutti alla riflessione a partire proprio dalla coincidenza di date: la festa della Liberazione dal nazifascismo con quella del santo patrono di una Repubblica, la Serenissima, «pagine di
Curi Pietas per i morti, certo, ma non sia alibi. E’ stata una lotta di liberazione nazionale
storia che trovano una sintesi nel concetto di Libertà».
Sceglie un 25 aprile diverso l’assessore regionale al Lavoro Elena Donazzan, una messa alla foiba di Lusiana, nel Vicentino, «per commemorare i morti che l’ufficialità ignora». Ma Donazzan aggiunge: «Spero presto i tempi saranno maturi per una piena e sentita pacificazione nazionale».
Apparentemente sarà una Festa della Liberazione classica: commemorazioni istituzionali con le associazioni di partigiani schierate ovunque, da Piazza San Marco, già al mattino, passando per Padova e Verona. In prima fila l’Anpi con lo slogan «Mai più fascismi». Non manca la variante venetista pronta a raggiungere oggi pomeriggio Piazza San Marco e a celebrare una messa al Santo di Padova per il patrono della Serenissima. Cambiano però, quasi impercettibilmente, le sfumature dello scenario politico che sembra virare a un appello corale: dopo 73 anni è il tempo della pietas in grado di sancire la «pacificazione nazionale»? «La pietas non è una virtù politica. - obietta il filosofo Umberto Curi - Corrisponde a una scelta che si colloca sul piano della moralità. Non si può deciderla per decreto, così come non si può imporla a chi non ne avverta l’urgenza e l’imprescindibilità. Evocare ora la prospettiva di una generalizzazione della pietas è spostare ipocritamente il discorso su un piano indeterminato, quale è quello dei sentimenti e delle emozioni. Di ben altro vi sarebbe bisogno di fronte a scadenze come quella del 25 aprile. Di analisi storiche rigorose, di un giudizio politico maturo su ciò che è stata la guerra di liberazione sfociata con la vittoria sul nazifascismo. Non usiamo più il termine Resistenza, ciò che accadde fra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945 è stata una lotta di liberazione nazionale. Una guerra civile che va chiamata col suo nome». Parole come macigni nel cui solco si inseriscono quelle di un folto drappello di intellettuali. Mario Isnenghi, presidente dell’Isvener, l’istituto veneziano per la storia della Resistenza, aggiunge: «Rispettabili nelle intenzioni le scelte dei nostri padri e nonni, scelte in buona fede. Pietas per i morti, per carità, non si nega a nessuno ma non diventi il tramite per dire che tutti sono uguali, che
tanto ormai sono passati 70 anni. Io non ho intenzione di riconciliarmi con i Borboni e men che meno con i fascisti. Non se ne vede la necessità». Per Riccardo Calimani, storico veneziano, soprattutto del mondo ebraico: «Il tempo non cancella le colpe, non c’è nessun motivo di unire vittima e carnefice. Non è vero che nella notte tutti i gatti sono neri. Il perdonismo è un’ipocrisia. Poi, sulla coincidenza di date fra Liberazione e San Marco, dico che San Marco mi è molto simpatico, l’usanza del bocolo pure e che davvero la Serenissima, da veneziano, è nel mio cuore ma mi pare più importante festeggiare il fatto che il nazifascismo sia scomparso dall’Europa e che sia necessario reprimerne ogni seppur piccolo rigurgito».
Neppure Stefano Zecchi, docente di estetica, parla di riconciliazione: «Ciò che serve è conoscere la storia. Poi sulla base della storia ognuno dia le proprie valutazioni». Non perdere la memoria di ciò che significò il secondo conflitto mondiale è la priorità anche per il filosofo Massimo Cacciari che ironizza: «L’unica pietas che provo è verso i giovani ignoranti di questo paese che pensano Hitler sia salito al potere nel 1978...».