Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Pugno duro contro i ladri d’identità «Fermo convalidat­o, restano in cella»

Liberati a Treviso, presi a Genova. Stavano clonando telefono e documenti dell’M5S Maniero

- Milvana Citter

TREVISO Fermo convalidat­o e porte del carcere sbarrate. Stefano Ramunni e Giovanni Chiaromont­e restano in cella a Genova, dopo l’arresto di lunedì. Per quello che la trasmissio­ne «Le Iene» ha definito il «campione mondiale delle truffe» e il presunto complice, la libertà si allontana. Ieri, difesi dall’avvocato Fabio Crea, i due sono comparsi davanti al gip per la convalida del fermo, effettuato venerdì nel capoluogo ligure. Dove il 54enne e il 27enne pugliesi erano stati rintraccia­ti dagli inviati della trasmissio­ne di Italia 1, sulle loro tracce da quando, una settimana fa, erano usciti dal carcere di Santa Bona. I due devono rispondere, a vario titolo, di detenzione di falsi documenti, truffa e sostituzio­ne di persona. Quando i carabinier­i li hanno fermati, infatti, avevano quattro documenti di identità di presunti funzionari de Vaticano. Avrebbero contraffat­to anche una carta di identità, sempre del Vaticano, con le generalità del neodeputat­o del Movimento 5 Stelle Alvise Maniero. E con quei documenti, secondo quando gli contesta loro la procura di Genova, Ramunni sarebbe andato nel negozio di un gestore telefonico tentando di modificare il piano tariffario per comprender­e, tra le utenze dell’ex sindaco di Mira, anche le loro. Era stato proprio Maniero a segnalare alle forze dell’ordine la presenza dei due a Genova, dopo aver ricevuto un alert per il sospetto utilizzo dei suoi dati in quella città. Così, subito dopo che Ramunni e Chiaromont­e erano stati intercetta­ti e intervista­ti da Giulio Golia, erano arrivati i carabinier­i.

La loro libertà è durata appena tre giorni: erano stati scarcerati venerdì a Treviso, dove sono indagati per sostituzio­ne di persona, falsità materiale e indebito utilizzo di carte di credito, in seguito all’arresto effettuato a gennaio dai carabinier­i di Vedelago, che avevano scoperto come si spacciasse­ro per diplomatic­i vaticani e viaggiasse­ro su una monovolume attrezzata di stampanti, con le quali producevan­o carte d’identità, per aprire conti e ottenere carte di credito a carico di vittime ignare. Sono rimasti in cella fino a venerdì, quando il giudice Angelo Mascolo ha deciso che potevano tornare liberi, ritenendo che il rischio di reiterazio­ne del reato sarebbe stato limitato dall’obbligo di dimora e di firma a Milano. Ma i due in Lombardia non sono mai tornati. Sono andati a Genova, dove tre giorni dopo erano già in cella. E secondo la procura e il gip ligure lì devono stare. Perché sussistono sia i gravi indizi di colpevolez­za, sia il rischio di reiterazio­ne del reato. «Appena scarcerati - sottolinea il gip Riccardo Ghio - hanno ripreso a delinquere senza soluzione di continuità».

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La fuga Stefano Ramunni e Giovanni Chiaromont­e mentre salgono sul treno, diretti a Genova

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