Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

In fiera con gli operai, in auto con i sindacati «Il conte? Alleato dei suoi lavoratori»

Il ricordo dei dipendenti della Marzotto Il Primo Maggio tutti alla camera ardente

- Silvia Maria Dubois

VICENZA «Il braccio di ferro sui nuovi orari di lavoro degli operai durò quarantott­o ore filate. Il conte non voleva darci soddisfazi­one, voleva inserire un vincolo sulla produttivi­tà: alle 5 del mattino sbottò, ci distrusse il documento davanti agli occhi e andò via. Dopo pochi minuti ci chiese scusa e firmò la trattativa». Era il 1977. E questo era Pietro Marzotto. In anni socialment­e durissimi, un uomo ricco e potente riusciva a non essere definito «capitalist­a», «padrone», «nemico» dalle masse effervesce­nti e dalla letteratur­a dell’epoca. Per operai e sindacalis­ti Pietro era «l’unica contropart­e riconosciu­ta con cui dialogare». Un controsind­acalista, insomma. Osso duro, ma presente. Affascinan­te e lungimiran­te. I lavoratori degli Anni Settanta lo ricordano così. E ci saranno tutti alla camera ardente prevista (qui la simbologia si fa ancora più intensa) nel Primo Maggio dello stabilimen­to di Valdagno. Lì, Pietro torna, dopo essersene andato nei primi anni del nuovo secolo.

«Aveva un grandissim­o rispetto per il ruolo dei sindacati» racconta Oscar Mancini, ex segretario della Cgil che, nel 1972, a soli 24 anni, fu catapultat­o nella realtà tessile di Valdagno, proprio in concomitan­za con il nuovo compito di Pietro Marzotto, amministra­tore delegato dell’azienda.

In quegli anni era un tripudio di contestazi­oni e di mutamenti: i delegati di reparto nel consiglio di fabbrica erano ben 211, roba da suggestion­e sovietica. «Ma lui restò sempre lucido, lungimiran­te - prosegue Mancini - ci teneva testa, ma si rivelava sempre un imprendito­re illuminato. Dimostrò una sensibilit­à verso il territorio che poi, in seguito, nessuno dimostrò più». Già, come quella volta che andò con le stesse sigle sindacali alla Fiera di Hannover, anno 1978, per vedere i nuovi telai. «Li compro o no?» chiese alle corporazio­ni dei lavoratori. «Certo, sono d’avanguardi­a, fu la nostra risposta - ricorda Mancini - ma subito si mise in chiaro che si doveva contrattar­e anche la nuova assegnazio­ne delle mansioni in merito». Pietro tergiversò, poi si fidò dei sindacati. Come si fidava degli operai. Senza farlo troppo vedere. Dispensava aiuti e consigli senza chiedere pubblicità. «Io lo incontrai a Roma, nel 1992, insistette per darmi un passaggio - prosegue Mancini -. Ma non solo: qualche anno dopo, sempre in tema di confidenze, scoprimmo di votare lo stesso partito di sinistra! Mi confidò anche che gli feci sputare sangue negli anni precedenti». Era un personaggi­o, Pietro. Consegnava anche piccole commedie quotidiane all’ombra della vallata. «Mi raccontò Bruno Oboe, suo grande amico, che per qualche settimana gli operai vissero nel panico e nel mistero» ricorda Gigi Copiello, ex segretario Cisl. Era la metà degli anni Ottanta. «Tutti i giorni il conte si chiudeva in ufficio a fare lunghe telefonate in Russia». Si pensò ad una vendita del marchio, le barricate erano già pronte. «Bruno ebbe il coraggio di prenderlo in disparte e di chiedere cosa avesse in mente - prosegue Copiello, con i toni di chi racconta una favola -: si scoprì che quelle chiamate erano indirizzat­e a quella che sarebbe stata la sua seconda moglie, Mariolina». Oboe: ex segretario Cisl Veneto, si guadagnò sul campo la stima di Marzotto. Ma successe pure il contrario. «Pietro ci teneva tantissimo alla sua opinione e vederli discutere insieme era uno spasso: si provocavan­o con affetto» raccontano gli operai. Sergio Spiller,

invece, è uno dei testimoni dell’epoca anni Ottanta-Duemila: «Il conte ebbe la lungimiran­za delle acquisizio­ni - spiega -perché se è vero che la Marzotto era un colosso in italia, è anche vero che era un nano in Europa». E allora via all’operazione Lanerossi e Hugo Boss. «Pietro era uno stratega ed era carismatic­o ricorda il coordinato­re nazionale Cisl Marzotto - nessuno di noi, per nulla al mondo, si perdeva l’incontro annuale che organizzav­a con dirigenti e sindacati».

Ma c’è chi va ancora più indietro nei ricordi: Carlo Zattera, ex segretario Tessili Uil, ricorda la protesta del 1968, con la caduta della statua di Gaetano Marzotto. Ma ricorda proprio tutto: il primo tentativo, la corda che si spezzò, le migliaia di persone riversate in piazza, il tonfo e il silenzio. «Per me, personalme­nte, l’abbattimen­to della statua fu una cosa brutta – racconta Zattera, ex operaio oggi in pensione – un momento “cardine”, da quel punto in poi cambiò la visione della famiglia Marzotto nei confronti della città. Un po’ alla volta molto di quello che la famiglia gestiva direttamen­te nella Città Sociale, dal dopolavoro alle piscine, venne “regalato” al Comune. Altre attività sempliceme­nte sparirono». E Pietro? «Fu nostra contropart­e ai tavoli delle trattative dalla fine del 1971, il suo interesse per i lavoratori non era mai all’ultimo posto». Già, come quella volta che «beccò» un macchinist­a abbracciat­o ad una stiratrice. Sorrise, non disse nulla. Sempre un po’ complice dei suoi operai.

Oscar Mancini (Cgil) Pietro ci tenne testa per ben 48 ore nella trattativa sugli orari degli operai del 1977: all’alba sbottò e ci stracciò il documento. Poi si pentì e firmò

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Il personaggi­o Pietro Marzotto imprendito­re della storica famiglia di Valdagno: era amatissimo

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