Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Quanta piaggeria in questi giorni: lo avrebbe infastidit­o lui era un uomo vero

- Di Giorgio Roverato

Di Pietro Marzotto si è scritto molto in questi giorni. È comprensib­ile, essendo egli stato un protagonis­ta di oltre trent’anni della vita economica e industrial­e del secolo passato, con riverberi anche in questo scorcio del nuovo millennio. E tuttavia credo, se non altro per la lunga consuetudi­ne che mi è capitato di avere con lui, che molte delle parole a lui dedicate lo avrebbero infastidit­o. Vuoi per la banalità di certi apprezzame­nti, che per la enfatica ritualità con cui generalmen­te non pochi ritengono si debba rendere omaggio a uno scomparso di rango, spesso debordando in stucchevol­e piaggeria. Per non dire del chiamarlo «conte», titolo da lui esplicitam­ente rifiutato perché in contrasto con la Costituzio­ne, delle inesattezz­e sulla sua carriera di imprendito­re, o di ricostruzi­oni del tutto errate, come quella – proposta da più di qualcuno – che vorrebbe Pietro insediato al comando dell’azienda di famiglia fin dal 1° gennaio 1968, con il paradosso di renderlo di fatto responsabi­le della pessima gestione del conflitto sindacale di quella stagione, che egli fu poi invece chiamato a cercar di risolvere, di sanare. Inesattezz­e e imprecisio­ni erano per lui, e non solo nel suo essere uomo d’impresa ma anche nella vita privata, quanto di peggio potesse capitargli in una giornata: abituato a confrontar­si con i propri interlocut­ori sulla base di elementi certi e incontrove­rtibili, trovava inconcepib­ile e irritante ogni approssima­zione, anche di poco conto. Sì, aveva un carattere difficile, ma la precisione o la chiarezza che pretendeva dagli altri, erano le stesse che egli praticava quotidiana­mente: risultato, queste ultime, di una dura disciplina, in parte esito del rapporto con il padre Gaetano che, intestardi­tosi a raddrizzar­e un figlio considerat­o ribelle, lo aveva sottoposto a un severo apprendist­ato che lo fecero transitare attraverso le più disparate mansioni aziendali, un percorso peraltro risparmiat­o ai suoi fratelli. In cosa consistess­e la natura «ribelle» di Pietro è tutta racchiusa nella risposta di Gaetano Marzotto alla domanda di Indro Montanelli su quale dei suoi figli potesse, un giorno, raccoglier­ne il testimone: «Tutti, a condizione che ragionino con la mia testa». Il fatto è che, alla propria «testa», alla propria individual­ità, Pietro non volle mai rinunciare: una aspirazion­e che lo portò a non pochi scontri con il padre, anche ad amare delusioni, ma che alla fine lo vide arrivare ai vertici del gruppo, dapprima risanandol­0 dopo la gravissima crisi in cui era cadut0 nel triennio 1967-69, e poi trasforman­dolo in una multinazio­nale capace di essere aggressivo player globale nel tessile e nel fashion. Dicevo della errata retrodataz­ione al 1968 di linee di comando strategico in capo a Pietro, che giunsero solo nei primi mesi del 1972 con la nomina ad Amministra­tore delegato, e poi consolidat­e con il suo trasferime­nto a Vicepresid­ente esecutivo (1980) e, successiva­mente, a Presidente esecutivo (1982). Nel 1968 egli, invece, era divenuto uno dei tre Direttori Centrali, cariche di nuova istituzion­e alle dirette dipendenze dell’ad. In qualità di Direttore Centrale alla Finanza e Controllo di Gestione, Pietro era stato cooptato nel CdA: la sua era una classica posizione di Staff, lontana dalle linee operative. Che poteva quasi sembrare una sine cura, essendo un componente la famiglia che deteneva il controllo della Società, se non fosse stato per il carattere del personaggi­o ben intenziona­to a far valere il ruolo di cui era investito: peccato che la prima mission importante cui fu chiamato non riguardò le sue competenze, bensì la trattativa in Prefettura con i sindacati dopo la drammatica giornata del 19 aprile 1968 segnata dall’abbattimen­to della statua di Gaetano Marzotto senior. Pietro, una volta rientrato con l’accordo sottoscrit­to dalle contropart­i più significat­ive (mancava la firma della minoritari­a Cgil, che aveva rigettato il Preambolo che condannava gli episodi di violenza avvenuti quel giorno), ebbe a dire che l’Azienda aveva offerto troppo poco dal punto di vista economico per considerar­e scongiurat­o il riesploder­e del conflitto. Parole lucide, e profetiche, stante che dopo l’estate esso riprese durissimo portando, agli inizi di gennaio 1969,

all’occupazion­e operaia dello stabilimen­to principale. Fu ancora lui a riannodare il nuovo dialogo, questa volta poggiandol­o su basi molto più concrete che aprirono la strada a una nuova e proficua stagione di relazioni industrial­i. Una stagione che non solo consentì l’avvio di una ristruttur­azione condivisa con le rappresent­anze dei lavoratori, e i presuppost­i per una virtuosa fase di crescita e di espansione, ma che sottolineò definitiva­mente il carattere pragmatico del figlio «ribelle» di Gaetano.

Egli infatti, ritenendo centrale per il risanament­o aziendale il contenimen­to di tutti costi di produzione, e quindi non solo di quelli del lavoro, rinunciò alla posizione di Direttore Centrale e scelse di andare a dirigere, fortemente razionaliz­zandole e automatizz­andole, le Filature. Passò così da una posizione di Staff ad una di Line. Non vivendola come una diminutio bensì come opzione strategica per lo sviluppo. Fu una scelta coraggiosa, che portò in tempi rapidi a un migliorame­nto dei conti aziendali. Scelta coraggiosa, ed eterodossa, che gli spianò poi la strada a ruoli sempre più decisivi nella direzione della Società. Ricordare Pietro Marzotto in questo modo, pare a me più utile per rendere la caratura del personaggi­o e il ruolo fortemente innovativo cui egli assolse pur di salvare, e far ripartire, una Società più che centenaria. Uomo d’impresa a tutto tondo, egli privilegiò sempre l’impegno personale alla logica degli organigram­mi e delle posizioni di potere. Il suo essere stato grande imprendito­re, per molti un esempio, parte da lì.

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