Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Smontata l’opera-icona di Quinn che «emergeva» dal Canal Grande. Ma Venezia vorrebbe tenerle Dove mettiamo le Mani?

Scaduta la proroga. Ferlenga: «È giusto siano spostate ma sarà difficile ricollocar­le» Balich: «Le metterei a Palazzo Chigi: aiuterebbe­ro a formare il nuovo governo»

- di Sara D’Ascenzo

Queste «mani sulla città» piacevano eccome. Non erano le mani tentacolar­i del film di Gianfranco Rosi, che testimonia­vano il malaffare che distruggev­a la Napoli della speculazio­ne edilizia negli anni ‘60. Erano le mani di un artista con mamma veneziana di Cannaregio e papà messicano-americano conosciuto in tutto il mondo per i suoi film, da La Strada di Fellini a Zorba il greco. Al contrario Lorenzo Quinn, figlio dell’attore Anthony, le aveva pensate, quelle mani, per dare un sostegno alla tutela del patrimonio artistico di Venezia e la sua opera - Support - emersa dall’acqua della laguna a reggere la facciata dell’hotel Ca’ Sagredo sul Canal Grande un anno fa, ieri è stata smontata dopo che il 30 aprile era scaduta anche la seconda proroga della Soprintend­enza dei Beni Culturali di Venezia. Da settimane l’acqua che per un anno ha bagnato e inumidito i polsi delle mani, r i f l et te le molte discussion­i a vari livelli che sull’opera si fanno, nei bacari della città, davanti a un cicchetto, come nelle sale del- la Soprintend­enza, a Palazzo Ducale, o in quelle di Ca’ Farsetti, dove il sindaco, Luigi Brugnaro, vuole a tutti i costi trovare una nuova collocazio­ne veneziana per le mani prima che l’artista, dopo qualche giorno in un deposito a Porto Marghera, se le riporti a Barcellona nel suo studio, per farle restaurare, guarendole così dagli acciacchi dovuti a un anno in ammollo. L’artista ha già donato un’altra scultura a Venezia, ma sarebbe pronto a regalare anche le mani, a patto che si trovi un posto dove sistemarle. «Grazie di cuore a Lorenzo Quinn - ha scritto il sindaco qualche giorno fa su Twitter - per la scultura “La grande fionda” donata al Comune di Venezia che metteremo a Forte Marghera. Per “le belle mani di suo figlio” che ci hanno aiutato a sostenere la città, cercherò un bel posto per tenerle a Venezia». L’artista le aveva salutate qualche giorno riprendend­o la moglie e il figlio (le mani sono le sue) mentre dicono addio all’opera. E ora che anche Ca’ Sagredo è un po’ più sola, la città torna a interrogar­si: dove si potrebbero mettere queste mani?

La più triste per l’addio è sicurament­e la general manager dell’hotel Ca’ Sagredo, Lorenza Lain: «Mi sento spogliata - dice la manager - ora avrei bisogno di tanto supporto! Abbiamo già in pista il prossimo progetto che coinvolger­à un artista veneziano molto famoso e che sarà montato già a ottobre di quest’anno per rimanere tutto il 2019. La collocazio­ne più giusta penso sia un museo pubblico, che possa ospitare anche la memoria fotografic­a di quello che è stato Support e conservarn­e il messaggio. Indubbiame­nte a noi ha portato molti clienti in più e ora ho un sacco di artisti che mi propongono teatro, arte, opere da ospitare a Ca’ Sagredo». Per il rettore dello Iuav, Alberto Ferlenga, «è giusto che le mani vengano rimosse, perché erano un’opera temporanea e come opera temporanea se rimanesser­o creerebber­o anche dei problemi. Se San Servolo, come pare, ha manifestat­o un interesse e ha le possibilit­à di metterla alla Venice Internatio­nal University ben venga, hanno l’interesse a crearsi una collezione d’arte, perché no. Penso comunque sia molto difficile da ricollocar­e: è nata per essere appoggiata alla facciata di un hotel, dovranno studiarla bene».

Certo non a tutti sono piac i ute le mani. Qualcuno le guardava passando dal vaporetto sognando il momento in cui sarebbero state smontate. Vittorio Sgarbi, per esempio, ha più volte rivendicat­o la temporanei­tà dell’opera: «E ben ha fatto la Sovrintend­enza - ha detto -. Ora le metterei vicino al ponte di Calatrava, a fianco all’hotel Santa Chiara, quell ’o b b r o b r i o , dando così un’idea del tempo moderno, ma non in Canal Grande. Venezia deve apparire e specchiars­i nei quadri di Canaletto, questa è la sua bellezza». Per Maria Luisa Frisa, direttore del corso in Design della Moda dello Iuav, «non è detto che u n’o p e r a d ’a r t e debba sempre rimanere. È stata concepita per un’occasione, per fare impression­e alla gente, è stata un’opera molto pop, d’effetto, anzi, un effettacci­o, ha destato meraviglia, ora può tornare dal suo creatore». A cercarle le provocazio­ni su dove potrebbe andare a finire quest’opera, arrivano. Uno che ha avuto esperienza di quanto corrosivo possa essere l’impatto delle polemiche suscitate da un’opera d’arte moderna in un centro s to r i co co me quello di Firenze è sicurament­e Francesco Bonami, critico d’arte e curatore della Biennale d’Arte nel 2003. Nel 2017 l’opera di Urs Fischer Big Clay #4, scelta da Bonami per essere messa in piazza della Signoria per la Biennale d’Antiquaria­to, sollevò molte critiche. Lui, il destino delle mani, lo vede così: «È un’opera alla Casanova di Fellini, molto cinematogr­afica. E visto che a farla è stato il figlio di un attore famoso che ha lavorato con Fellini, le metterei a Cinecittà in attesa di usarle per il remake del Casanova».

Ma la vera provocazio­ne arriva da Marco Balich, ex direttore artistico del Carnevale, organizzat­ore di eventi e produttore televisivo: «Le metterei a Palazzo Chigi, o all’esterno del Parlamento. Hanno fatto riflettere sull’amore e la cura di cui Venezia ha bisogno. Ora sarebbe giusto facessero riflettere sulla cura di cui ha bisogno questo Paese e potrebbero dare una mano per la formazione del nuovo governo».

Le metterei vicino all'obbrobrio dell’Hotel Santa Chiara

Non è detto che un’opera d’arte debba rimanere

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Addio Lo smontaggio dell’opera «Support» di Lorenzo Quinn: era situata sulla facciata di Ca’ Sagredo (Vision)
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