Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
BANCHE, CHE FINE FARÀ IL DECRETO?
Proprio mentre a Roma il governo Gentiloni sembra entrato nella penombra delle sue ultime ore, in molti a Nordest si chiedono se possa ancora affiorare, quasi come un relitto lasciato dall’ultima onda sulla sabbia, il decreto attuativo in tema di banche. Decreto che era stato annunciato come di imminente pubblicazione dal Sottosegretario Baretta. Ma ciò pare di ora in ora sempre più improbabile. Forse sono emersi profili di legittimità in sede di vaglio al Consiglio di Stato che ne hanno suggerito una maggiore ponderazione? O forse semplicemente si è valutato da parte del governo uscente che fosse più opportuno affidarne la cura al nuovo responsabile dell’Economia? Giunti a questo punto, sarebbe ben peggio avere un brutto decreto piuttosto che attendere ancora un poco. E non si dica che si tratta soltanto di un decreto attuativo perché, se si ha riguardo ai margini discrezionali che lasciava aperti la legge a monte, di meramente attuativo c’è ben poco. Si guardi dunque all’immediato: c’è qualche speranza che la stesura del testo possa in queste ore essere messa su binari corretti? La risposta è positiva e proviamo a schematizzare quali sono i profili essenziali del compito che è chiamato a svolgere chi si troverà sul tavolo carta e penna per (ri)scrivere il decreto. Innanzitutto occorre decidere a quale soggetto spetterà di accertare il danno subito dagli ex azionisti, nonché con quali modalità: si è sin qui detto che s’intende ricorrere all’Arbitrato presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Ma, oltre a ciò, rimane da decidere quale posizione riservare a tutti gli ex azionisti che vantino le posizioni più antiche, ossia quelle per cui ogni diritto sarebbe caduto in prescrizione. Quegli azionisti rimarranno drammaticamente azzerati? Con la messa in liquidazione, a loro, diversamente che agli azionisti di MPS, è stata tolta ogni speranza? Secondo punto: si deve poi definire il coordinamento fra le transazioni in passato concluse a seguito di offerta pubblica, quando ancora le banche venete erano in vita, e l’accesso al fondo di ristoro. Le vecchie transazioni implicherebbero la rinuncia ad avanzare oggi ulteriori pretese, ma si può davvero ragionare in questi termini? Infine, terzo nodo, Banca Intesa si era pubblicamente impegnata a dar corso a un piano di sostegno agli ex soci delle banche venete, almeno di quelli in condizioni di maggiore debolezza. Sarebbe oggi opportuno coordinare politicamente quell’iniziativa con i contenuti del decreto.
Assurdo sarebbe invece che le due linee di intervento non si integrassero in maniera coerente. Vien poi da aggiungere che risultati più efficaci si potrebbero forse ottenere in questo momento da una decisa concertazione d’interventi con Intesa, piuttosto che dai tentativi fin qui esperiti di citazione in giudizio nei confronti della banca cessionaria per fatti imputabili alle cedenti. Ci siamo limitati a citare tre punti, imprescindibili, per una corretta impostazione del testo del decreto. Se un segnale forte di politica del diritto s’intendesse dare, in direzione di una reale restituzione di dignità al territorio, pensiamo infine che sarebbe opportuno il coinvolgimento di avvocatura e magistratura Trivenete.