Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
E Manildo fa gli scatoloni: «Mi ritiro»
Il sindaco uscente non rimarrà in consiglio: «Mi dedicherò a famiglia e lavoro»
TREVISO Alle 11 di ieri mattina, dopo avere metabolizzato la sconfitta al primo turno, aveva già fatto gli scatoloni e portato via tutte le sue cose dall’ufficio di sindaco a Ca’ Sugana. Giovanni Manildo esce di scena, lascia la politica e il consiglio comunale: «Penso che sia il momento di dedicarmi alla famiglia e al mio lavoro».
Alle undici del mattino TREVISO dopo la sconfitta - amara amarissima - Giovanni Manildo aveva già fatto gli scatoloni svuotando un ufficio vissuto intensamente per cinque anni, al primo piano di Ca’ Sugana. E li aveva già caricati in macchina prima di entrare nella sede elettorale della coalizione di centrosinistra per salutare e ringraziare tutti, dallo staff ai candidati, dai consiglieri alla giunta. Ma ora lascia: non rimarrà in consiglio comunale. Chiude con la fascia tricolore e chiude con tutto. «Penso che sia il momento di dedicarmi alla famiglia e al mio lavoro». Basta politica. «Ma andrò a salutare chi si siederà Palazzo dei Trecento». Ultimo omaggio a quella sala che l’ha visto indossare la fascia tricolore e rivestire il ruolo di primo cittadino, con orgoglio e passione.
Gli addii non sono mai facili. Lacrime fra gli ex (consiglieri, assessori, candidati, staff) e anche, leggere, sul volto del sindaco. «Ce l’abbiamo messa tutta e rivendichiamo ogni scelta» dice, sapendo di dire quello che tutti pensano, senza cercare alibi, prendendosi responsabilità e provando a capire cos’è successo, cos’è cambiato dal 2013 quando aveva strappato Treviso alla Lega. «I trevigiani ci hanno cre- duto meno di noi». «Siamo stati come la nazionale olandese del calcio totale, che giocava bene ma perdeva sempre – prova a scherzare – sono stati cinque anni bellissimi, passiamo un testimone positivo». L’alpino Manildo sorride nonostante la batosta. Tornare ai suoi amati bambini e alla moglie Valentina non è una consolazione: fare il sindaco è stato impegnativo, a tratti totalizzante, ha sofferto nel trascurarli di tanto in tanto ma li ritroverà lì a casa, in via Cadore, anche loro col sorriso.
L’analisi del voto è impietosa. Perfino il centro storico ha abbandonato Manildo e il centrosinistra. Perfino alle Stefanini, centrissimo, Conte è passato avanti. Nei quartieri è stata una Waterloo. Quel 37,6% sta proprio stretto, 15.082 voti sono meno di quelli presi al primo turno cinque anni fa (erano 17.460) e molti meno del secondo vittorioso (21.403). La sinistra non li ha presi, i grillini neanche: sono tutti voti passati al centrodestra. «Eravamo controvento – continua Manildo -, le dinamiche nazionali hanno sicuramente inciso. Noi abbiamo fatto del nostro meglio ma non so se siamo riusciti a trasmetterlo, o se è stato male interpretato. Lasciamo a chi arriva una città bella, aperta, vivibile. Tante nostre scelte andranno a frutto nei prossimi anni».
Due sono i grandi rammarichi dell’ex sindaco. Innanzitutto lasciare alla nuova amministrazione progetti e finanze per 47 milioni di euro, tanti quanti quelli incassati dal centrosinistra vendendo e partecipando a bandi. Una barca di soldi. E poi la rivoluzione dei dirigenti: «Nel 2019 tre dirigenti strategici andranno in pensione, il nuovo sindaco avrà la possibilità di cambiare molte cose». Qualche rimpianto sulla campagna elettorale? «Non si può essere diversi da ciò che si è, non abbiamo fatto promesse irrealizzabili».
Consigli al suo successore non ne lascia: «Non è nella mia natura, ma gli faccio un grosso in bocca al lupo, perché possa amministrare con passione ed entusiasmo».
Ieri mattina Manildo si è notata l’assenza (rumorosa, significativa) del Partito Democratico, secondo partito in città dopo la Lega ma con un 16,46% che non può essere considerato positivo. Mentre nella domenica degli scrutini qualcuno si è visto, dopo la sconfitta sono mancati i vertici, dai segretari Tonella e Zorzi al vicesindaco Grigoletto, col quale si dice Manildo fosse ai ferri corti da un po’. L’ex sindaco li ha giustificati tutti, «avevano da fare». C’erano invece i civici. «Che male perdere così» ripetevano la sera prima e la mattina, con di mezzo una notte insonne e incredula davanti a quei risultati. «Abbiamo dato tutti il massimo – ha detto Franco Rosi, il più votato di questo turno, capolista di Treviso Civica -. Il tempo sarà galantuomo». Un così esperto conoscitore della politica cittadina legge nei dati elettorali una sfumatura: «Bisognava dosare la progettualità con le piccole operatività. I cittadini si aspettavano altro, ose più di pancia e meno di testa perché oggi, la pancia, paga di più».
Manildo
Noi come l’Olanda di Cruyff, che giocava bene ma perdeva
Rosi
I cittadini volevano altro, cose più di pancia e meno di testa