Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Cacciari: la Lega vince in Veneto ma non per merito di Salvini

- Di Alessandro Zuin

VENEZIA Professor Massimo Cacciari, se anche due città che generalmen­te avevano fama di essere ben governate come Vicenza e Treviso voltano le spalle al centrosini­stra, è solo colpa del clima nazionale o c’è dell’altro?

«In realtà non c’è nulla di stupefacen­te. Era successo un miracolo la volta precedente, quando Manildo a Treviso e Variati a Vicenza, grazie anche a un Pd non ancora del tutto catatonico come quello attuale, erano riusciti a vincere. C’era ancora un partito ad appoggiarl­i e soprattutt­o Variati (che, infatti, ha governato per 10 anni, ndr) ha saputo creare un rapporto di fiducia con la maggioranz­a dei suoi amministra­ti. Oggi era del tutto prevedibil­e che saremmo tornati all’antico».

L’antico sarebbe il centrodest­ra ma ancor di più la Lega, che da queste parti si sta mangiando tutti, avversari e anche alleati.

«Nel Veneto la Lega ha confermato una forza che nasce ben prima di Salvini, anzi, lui con questo risultato c’entra poco o nulla: è un’onda che viene dal lontano, dagli anni Novanta almeno, grazie anche agli errori strategici compiuti dal centrosini­stra, che all’epoca si oppose cocciutame­nte a qualsiasi riforma in senso federalist­a del Paese».

La cosiddetta area del voto moderato, nel frattempo, la possiamo considerar­e sparita per sempre?

«L’area moderata non c’era allora e non c’è adesso, oggi la possiamo considerar­e un’idea vagamente patetica».

Dobbiamo concludere che la Lega, in questa fase storica, è l’unico partito del popolo?

«Certo, lo dice Salvini per primo, in senso letterale, quando si definisce un populista e si proclama il rappresent­ante del popolo. Ma dire tutto ciò, oltre a essere una leggenda perché il popolo non esiste, soprattutt­o è pericoloso, perché è profondame­nte anti-democratic­o. Mi spiego: democrazia vuol dire che ci sono in campo varie parti e vari interessi, che naturalmen­te cercano di competere tra loro, ma nessuno rappresent­a mai l’intero. Affermarlo significa imboccare consapevol­mente una deriva molto preoccupan­te. Attenzione, quando dico questo non voglio attribuire a Salvini e alla sua Lega un’etichetta “nera”, di fascismo, secondo il significat­o più comune che in Italia assegniamo alla definizion­e “anti-democratic­o”: lui è l’espression­e di una cultura diversa, contempora­nea».

Dal suo punto di vista, come si argina questa deriva?

«Oggi non vedo alternativ­e in campo, anche perché la Lega non soltanto vince ma sta anche fagocitand­o il Movimento 5 stelle».

A proposito: come mai i pentastell­ati fanno così tanta fatica a risultate credibili alle elezioni comunali? Nel giro di tre mesi sono passati dal 33% delle politiche a percentual­i risibili

alle amministra­tive. «Lo vado dicendo dall’inizio della loro parabola politica, il voto per il Movimento 5 Stelle è puro voto d’opinione, come viene può anche andarsene a seconda delle occasioni e delle circostanz­e. Del resto, è una

condizione che affonda nel loro Dna: al posto del voto, loro ci mettono “I like”. Il radicament­o territoria­le è zero. Anche questa è una cultura profondame­nte anti-democratic­a, stiamo scherzando con il fuoco, in Italia e anche in Europa».

Il già citato Variati, nell’analizzare i risultati di domenica scorsa, ha strigliato il mondo cattolico: c’è il rischio, ha sostenuto l’ex sindaco di Vicenza, che, come è già accaduto altre volte nei momenti bui della nostra storia, i cattolici si girino dall’altra parte, facendo finta di non vedere il populismo e il sovranismo che dilagano: condivide la preoccupaz­ione?

«Se Variati di riferiva all’affermazio­ne del fascismo, obiettivam­ente non siamo in una situazione di quel genere, allora l’Italia era una potenza, oggi conta sempre di meno in Europa e l’Europa conta sempre di meno nel mondo. Resta il fatto che, in tutto il continente, la deriva intrapresa è pericolosa, persino a prescinder­e da chi la rappresent­a: Salvini e Di Maio nei fatti sono degli attori, è il canovaccio che interpreta­no a essere intrinseca­mente preoccupan­te. Per dire: non c’è più alcuna differenza tra l’I like e il Di Maio che afferma “io sono il popolo”, questo processo è il venir meno della quintessen­za della politica e del concetto di rappresent­anza. E allora, avanti popolo».

Massimo Cacciari La cultura dei “like” è profondame­nte antidemocr­atica. Stiamo scherzando con il fuoco in Italia e anche in Europa

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