Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il capo, il campo, i bambini «Rubare, sempre sbagliato» «Non se devi sfamare i figli»
PADOVA Il campo nomadi di via Longhin, periferia di Padova, è un insieme di casette di cemento a ridosso del fiume. All’ingresso, chiuso nel recinto, un pitbull abbaia furioso e la statua di Padre Pio osserva i bambini venirci incontro di corsa, curiosi, mentre una ragazzina ne approfitta per avvicinarsi alle piscine gonfiabili e sfuggire alla calura.
Gli adulti sono seduti in un angolo, all’ombra, intorno a un fornelletto da campo collegato alla bombola del gas, dove Vania ha messo a bollire una pentola d’acqua. Il nome è di fantasia, perché così pretende il capofamiglia: un omone di 38 anni che se ne sta spalmato su una sedia di tela in maglietta e pantaloncini. L’altra condizione per consentirci l’accesso al campo, è che il fotografo se ne stia alla larga.
Vania ha 25 anni e due figli. «Vanno entrambi a scuola», rivendica con orgoglio. Non è facile essere rom ai tempi in cui Salvini se ne esce con la proposta di «censire» i nomadi per «tutelare prima di tutto migliaia di bambini ai quali non è permesso f re - quentare la scuola regolarmente perché si preferisce introdurli alla delinquenza». Ma è proprio per i più piccoli, che nel campo di via Longhin l’integrazione si sta facendo sempre più complicata. «Con i compagni di classe vanno d’accordo - assicura la mamma - però sono sempre “bollati” come nomadi. Ad esempio non possono avere la festa di compleanno perché i genitori dei loro amici non li lascerebbero mai venire qui». Ci guardiamo intorno. Scordatevi gli zingarelli vestiti di stracci che si aggirano tra pozzanghere di fango e am- massi di lamiere: quest’area è pulita e ordinata, qualcuno si è ritagliato perfino un piccolo giardino. Ma per quanto gestita con dignità, resta sempre un’accozzaglia di caravan e prefabbricati. «Non è così che volevo crescessero i miei bambini: ci sono giorni in cui manca l’acqua calda e non possono fare il bagno, e allora mi vergogno a mandarli a scuola perché puzzano...».
Giovanni spiega che nel campo vivono circa 120 persone, che però possono arrivare a duecento. «Se mi assegnassero una casa popolare, me ne andrei s ubito » , a ggiunge. «Qui c’è di tutto: gente onesta e gente disonesta. Per i ragazzini non è un bell’esempio». Si tocca un nervo scoperto: quello dei furti. Giovanni ha una teoria tutta sua, quando sostiene che «rubare è sbagliato ma se lo si fa per mantenere la propria famiglia allora è giustificabile ». Van ialo interrompe: «Rubare è sempre sbagliato. Punto e basta».
Il capofamiglia spiega che le parole di Salvini l’hanno ferito. «Certo che siamo preoccupati: uno dei primi provvedimenti di Hitler fu proprio quello di schedare i nomadi. E poi è andata a finire come sappiamo». Discutendo delle idee del ministro, i toni si infiammano. Un’anziana agita il dito: «È razzista». Un ragazzo, magro come un chiodo, sostiene che «Salvini deve solo provarci a venire qui e vedrà che fine gli facciamo fare...». Ma il capofamiglia riporta la calma: «Se al governo non va bene come viviamo, allora ci dia una mano a cambiare. In queste case che ci ha dato il Comune, piove dentro e hanno dimenticato di costruire le camere...». Non è uno scherzo. Marika ci invita a entrare. Ci sono una cucina spaziosa, un piccolo corridoio e un bagno. Nient’altro. «Avevano promesso che avrebbero allargato ogni abitazione, in modo da ricavare delle stanze da letto ma non l’hanno fatto. La mia famiglia è composta da otto persone: la sera c’è chi dorme sul divano e chi su delle brande. La cucina è la nostra camera».
Mauro èil « gr a nde ve c- chio» del campo. E questa cosa della «schedatura» proposta da Salvini proprio non la capisce. «Perché vuole farlo? Io sono italiano, mica può cacciarmi via. Che ci provi a farlo...», e con le dita mima il gesto di estrarre due pistole dal cinturone.
L’acqua del pentolone ha cominciato a bollire e Vania butta le tagliatelle all’uovo. «C’è troppo razzismo nei nostri confronti. Ai colloqui di lavoro veniamo scartati non appena leggono la residenza sulla carta d’identità. Via Longhin significa una cosa sola: il campo nomadi. E dire “rom”, anche per i padovani, è come dire ladri».
Ripetono di sentirsi soli. L’unico a non averli abbandonati è don Albino Bizzotto. «Quello è un ghetto» ammette il fondatore di Beati i costruttori di pace. «Basterebbe “spalmare” i nomadi nella città, offrendo delle soluzioni abitative. Ma nessuno vuole risolvere davvero la questione. E intanto Salvini cavalca il disagio per ottenere voti: ragiona da leader di partito, invece che da ministro».
Vorrei che i miei figli crescessero altrove: a volte manca perfino l’acqua calda