Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
OCCHIPINTI, LA GIUSTA PENA
Si scrive e si discute sul fatto che in casi come quello di Occhipinti lo Stato abbia perso: «Deve scontare la pena sino alla fine dei suoi giorni», «Non vi è possibilità d’uscita dal carcere..
Si scrive e si discute sul fatto che in casi come quello di Occhipinti lo Stato abbia perso: «Deve scontare la pena sino alla fine dei suoi giorni», «Non vi è possibilità d’uscita dal carcere per chi ha commesso reati brutali ed odiosi».
L’imbarbarimento dei commenti travolge ormai da anni anche la giustizia. Sulla base di quanto si apprende da fonti giornalistiche, l’ordinanza con la quale il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha rimesso in libertà il condannato Marino Occhipinti, rispecchia invece pienamente la funzione poliedrica che la pena riveste nel nostro ordinamento giuridico. Non si dimentichi mai che, come stabilisce la stessa Costituzione, la pena non dovrebbe costituire una semplice reazione sanzionatoria di carattere retributivo e con efficacia deterrente, ma dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato. Dopo il comportamento deviante, il cittadino deve e sottolineo deve, essere messo nelle condizioni di rielaborare in chiave critica il proprio vissuto criminoso e di intraprendere un percorso di risocializzazione che potrebbe anche concludersi, come in questo caso, con l’abbandono definitivo del carcere.
Questo significa rieducare il condannato.Se lo Stato, come nel caso di Occhipinti che ha scontato ventuno anni di carcere, riesce in questo disegno, allora significa che la pena ha pienamente raggiunto il suo scopo e che lo Stato ha ben operato. Un principio quello rieducativo che è stato il frutto, dopo il ventennio fascista, di un faticoso cammino all’interno dell’Assemblea Costituente. La mera detenzione, svincolata da un serio percorso di autentica rieducazione, rappresenta invece la vera sconfitta per la giustizia penale, come dimostra il grave tasso di recidiva dei soggetti che tornano in libertà dopo aver scontato la propria pena. A destare grande preoccupazione ed allarme sociale, allora, dovrebbe essere non tanto la liberazione di un condannato che ha concluso positivamente un lungo percorso di rieducazione, bensì il fine pena e la rimessione in libertà di quei soggetti che invece questo percorso non l’hanno neppure intrapreso e che quindi ricadranno, purtroppo con una certa probabilità statistica, nell’illecito penale.
Esiste poi il tema delicatissimo e spinoso del perdono che riguarda la sfera etica e personale diversa dall’ambito giuridico e giudiziario. Chiedere ai congiunti delle vittime di reati odiosi ed efferati come quelli commessi da Occhipinti la condivisione di decisioni come quelle del Tribunale di Venezia non ha senso, il perdono fa parte di un ambito umano, personalissimo, interiore e per chi crede anche religioso.
Sentir dire che in un caso come quello di Occhipinti lo Stato ha perso, è il segno dei tempi. Tempi nei quali è lo stomaco a governare i commenti sulla giustizia. Lo Stato in questo caso ha vinto e va scritto.
*avvocato