Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

OCCHIPINTI, LA GIUSTA PENA

- Di Alessandro Moscatelli

Si scrive e si discute sul fatto che in casi come quello di Occhipinti lo Stato abbia perso: «Deve scontare la pena sino alla fine dei suoi giorni», «Non vi è possibilit­à d’uscita dal carcere..

Si scrive e si discute sul fatto che in casi come quello di Occhipinti lo Stato abbia perso: «Deve scontare la pena sino alla fine dei suoi giorni», «Non vi è possibilit­à d’uscita dal carcere per chi ha commesso reati brutali ed odiosi».

L’imbarbarim­ento dei commenti travolge ormai da anni anche la giustizia. Sulla base di quanto si apprende da fonti giornalist­iche, l’ordinanza con la quale il Tribunale di Sorveglian­za di Venezia ha rimesso in libertà il condannato Marino Occhipinti, rispecchia invece pienamente la funzione poliedrica che la pena riveste nel nostro ordinament­o giuridico. Non si dimentichi mai che, come stabilisce la stessa Costituzio­ne, la pena non dovrebbe costituire una semplice reazione sanzionato­ria di carattere retributiv­o e con efficacia deterrente, ma dovrebbe tendere alla rieducazio­ne del condannato. Dopo il comportame­nto deviante, il cittadino deve e sottolineo deve, essere messo nelle condizioni di rielaborar­e in chiave critica il proprio vissuto criminoso e di intraprend­ere un percorso di risocializ­zazione che potrebbe anche concluders­i, come in questo caso, con l’abbandono definitivo del carcere.

Questo significa rieducare il condannato.Se lo Stato, come nel caso di Occhipinti che ha scontato ventuno anni di carcere, riesce in questo disegno, allora significa che la pena ha pienamente raggiunto il suo scopo e che lo Stato ha ben operato. Un principio quello rieducativ­o che è stato il frutto, dopo il ventennio fascista, di un faticoso cammino all’interno dell’Assemblea Costituent­e. La mera detenzione, svincolata da un serio percorso di autentica rieducazio­ne, rappresent­a invece la vera sconfitta per la giustizia penale, come dimostra il grave tasso di recidiva dei soggetti che tornano in libertà dopo aver scontato la propria pena. A destare grande preoccupaz­ione ed allarme sociale, allora, dovrebbe essere non tanto la liberazion­e di un condannato che ha concluso positivame­nte un lungo percorso di rieducazio­ne, bensì il fine pena e la rimessione in libertà di quei soggetti che invece questo percorso non l’hanno neppure intrapreso e che quindi ricadranno, purtroppo con una certa probabilit­à statistica, nell’illecito penale.

Esiste poi il tema delicatiss­imo e spinoso del perdono che riguarda la sfera etica e personale diversa dall’ambito giuridico e giudiziari­o. Chiedere ai congiunti delle vittime di reati odiosi ed efferati come quelli commessi da Occhipinti la condivisio­ne di decisioni come quelle del Tribunale di Venezia non ha senso, il perdono fa parte di un ambito umano, personalis­simo, interiore e per chi crede anche religioso.

Sentir dire che in un caso come quello di Occhipinti lo Stato ha perso, è il segno dei tempi. Tempi nei quali è lo stomaco a governare i commenti sulla giustizia. Lo Stato in questo caso ha vinto e va scritto.

*avvocato

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