Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Occhi aperti sul mondo», è il Giavera Festival
Domani e domenica la kermesse multietnica dedicata ai temi dell’immigrazione
TREVISO Si modifica, si articola fra spazi macro e nicchie, si modella sulla mentalità che cambia con le nuove generazioni e con l’imprevedibile miscela fra le etnie. Comunque vadano le cose il Giavera Festival c’è e domani e domenica celebra la sua edizione numero 23. «Occhi aperti sul mondo. Un salto in altro», è il titolo scelto per la due giorni che condensa una serie di eventi nella quale troveranno spazio, nel«crocevia di incontri e culture», nomi come l’ex direttore de l’Economist Bill Emmot, l’antropologo Duccio Canestrini lo scrittore Stefano Liberti, la scrittrice premio internazionale Writing for Central and eastern Europe Azra Nuhefendic il fotoreporter padovano Emanuele Confortin e molti altri. Come negli ultimi anni il teatro sarà quello di Villa Wassermann di Giavera, senza dimenticare, però, che la rassegna in questa sua nuova versione ha cercato di andare a contaminare luoghi e città lontane. La cifra singolare del Festival è che esiste ancora. Nell’imponderabilità delle dinamiche socio-demografiche delle migrazioni la manifestazione è sopravvissuta grazie ad una flessibilità in grado di intercettare, anno dopo anno, le mutevoli aspettative della società locale. «Da un certo punto di vista ora è più facile organizzarlo – spiega Bruno Baratto, uno dei patron storici dell’evento – grazie alla capacità di utilizzare contatti conquistati nel tempo. D’altro canto, però, a complicare le cose c’è il fatto che la realtà del territorio e quella dei migranti continua a cambiare. La crisi ha messo in moto una centrifuga, si sono generati nuovi movimenti e nasce la necessità di cercare chiavi di lettura sempre nuove». Ma ai figli dei migranti del secolo scorso interesserà davvero un evento che raduna le cento etnie dei 90 mila stranieri residenti nella Marca? «Sì – replica Baratto – perché in questa occasione ritrovano radici proprie che loro stessi, nati qui, conoscono poco».
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