Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Campane a festa, il prete: «Viviamo nella paura»

Dai balconi dei palazzi tutti filmano il blitz

- Di Andrea Priante

MESTRE Un signore scoppia in lacrime. «Sono felice!». E intanto il parroco fa suonare a festa le campane.

«Rapidi! Rapidi!». Tutti giù dalla camionetta, il casco già calato sulla fronte e lo scudo in mano. Neanche il tempo di spalancare del tutto il portellone posteriore e i poliziotti si riversano per strada come un’onda blu, con gli anfibi che martellano sull’asfalto incandesce­nte.

«Rapidi! Rapidi!». Sono tanti, così tanti che c’è da chiedersi come facessero a starci dentro il furgone. Le altre camionette arrivano nello stesso istante, in un serpentone di auto con i lampeggian­ti accesi e le macchine in borghese e in lontananza le sirene delle ambulanze. Scendono altri uomini in tenuta antisommos­sa. Sono centinaia.

«Rapidi!». Un agente inciampa ma si rialza subito ché non c’è tempo da perdere e il piano è già stato spiegato un milione di volte e ciascuno sa esattament­e cosa fare e dove andare a posizionar­si.

Alle 14.41 di fronte a una stazione di Mestre che fin dal mattino brulicava di divise, i pendolari assistono alla scena intuendo cosa sta per accadere. «Ra-pi-di!» scandisce l’ordine per l’ultima volta, prima che gli occhi di tutti si alzino verso il cielo e anche le parole spariscano inghiottit­e dal rumore di un elicottero che vola basso, sopra i casermoni dai colori sbiaditi e i panni stesi e le parabole sui balconi e la gente che si affaccia spaventata alle finestre.

È il blitz che tutti aspettavan­o. Gli agenti puntano dritto al cuore del quadrilate­ro della droga, quello che dal viale della stazione sale su via Piave e poi taglia su via Col di Lana e ritorna verso la ferrovia. Cordoni di polizia ovunque, accessi bloccati: nessuno può entrare nè uscire.

Monte San Michele è una stradina a senso unico che inizia con i cartelli affissi dai residenti: «Non ne possiamo più», «Basta spaccio», «Via gli spacciator­i dal quartiere». Intorno, palazzoni che rivelano il passato da «salotto buono» della città, un paio di negozi etnici dove una parrucchie­ra elabora minuscole trecciolin­e sulla testa delle clienti e i pusher nigeriani si rifornisco­no di birra. «Girano con la bottiglia in mano e la droga in bocca: se arriva la polizia bevono un sorso e ingoiano la dose», spiega una signora che abita a due passi. Lei filma con il telefonino, e intanto suo marito si commuove. Non è tanto per dire: piange davvero, come un bambino. «Sono felice!Felice!», ripete alla vista dei poliziotti che fanno irruzione nelle botteghe. Si chiama Angelo, ha sessant’anni e due figlie. «Crescono circondate da spacciator­i di eroina e da tossicodip­endenti, anche ragazzini minorenni, che si calano i pantaloni e si bucano sulle cosce. È un incubo». Sua moglie la sera resta barricata in casa, alle piccole impongono di uscire solo se accompagna­te e di tenere lo sguardo basso. E così vivono tutti i residenti, vittime collateral­i di quello che in pochi anni è diventato un grande suk della droga, simbolo di come la criminalit­à possa arrivare a prendersi interi quartieri. Più ancora di ciò che avvenne negli anni Novanta in via Anelli a Padova. Con l’aggravante che qui i ragazzi muoiono di overdose a due passi dal centro, stroncati dall’eroina gialla che può costare 20 euro ed è la più potente in circolazio­ne.

L’elicottero continua a volteggiar­e sopra Mestre, monitorand­o dall’alto il fuggi-fuggi di spacciator­i. Mentre ancora ci si chiede se le vedette che di solito sono piazzate agli incroci abbiano avuto il tempo di dare l’allarme, i poliziotti trascinano fuori dai locali uno dopo l’altro - i nigeriani in manette. Negli stessi minuti, a un chilometro di distanza va in scena un altro blitz, stavolta spalleggia­to anche da tre militari dell’esercito in mimetica e mitra in mano: nel parco di villa Querini si spaccia a ridosso di piazza Ferretto. Su un muro campeggia la scritta: «Brugnaro fai qualcosa». E anche qui, scattano gli arresti.

Intanto, in via Monte San Michele la gente continua ad arrivare. Si raduna dietro il cordone di poliziotti, cercando di sbirciare. «È merito del sindaco», «Macché, il Comune se ne frega di noi».

L’elicottero si allontana e il rumore delle pale lascia spazio a dei rintocchi metallici. È il parroco della chiesa di via Piave che fa suonare le campane a festa. «Oggi è un giorno di gioia e ho voluto dimostrare la nostra gratitudin­e alle forze dell’ordine», chiosa don Mirco Pasini. «Qui la situazione è terribile: non posso celebrare messa la sera perché i fedeli non escono di casa. L’altro giorno un africano ha cercato perfino di vedermi della cocaina...».

Dal balcone del suo appartamen­to, una donna si sporge per riprendere con il telefonino gli ultimi istanti del blitz. «Finalmente!», sembra dire prima che suo marito la trascini dentro. Meglio non farsi vedere troppo entusiasti: presto i poliziotti risalirann­o sulle camionette e non è chiaro che cosa accadrà dopo. Perché una cosa, qui, l’hanno capita anche i bambini: «Prima c’erano gli italiani, poi i tunisini e poi è stata la volta dei nigeriani. Vedremo chi arriverà adesso...».

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Cani antidroga Al blitz hanno partecipat­o anche le unità cinofile della polizia

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