Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’uomo, gli animali e il richiamo della foresta

- SEGUE DALLA PRIMA Matteo Righetto

Ora, proviamo a uscire da questa spirale di deleterio e insopporta­bile fanatismo e cerchiamo piuttosto di fare qualche osservazio­ne sul tema usando la ragione e l’equilibrio. A scanso di equivoci affermo subito la mia contrariet­à e disapprova­zione in relazione a tali disegni di legge, che personalme­nte ritengo propagandi­stici e del tutto inutili. Se devo dirla tutta poi, dubito fermamente che Trento e Bolzano possano autonomame­nte prendere decisioni in tal senso se slegate da un piano di prevenzion­e nazionale (che però di fatto attualment­e non c’è), ma tant’è. Mi si lasci dire però una cosa circa la presunta propaganda. Se pensiamo che la stagione estiva sta per entrare nel vivo proprio in questi giorni, non credo di far peccato nel pensare che questi provvedime­nti rispondono puntualmen­te alla volontà di rassicurar­e le decine di migliaia di turisti che si riverseran­no sulle nostre montagne da qui ai prossimi due mesi e che, come la stragrande maggioranz­a degli italiani, soffre di ansia e smarriment­o di fronte a tutto ciò che è selvatico o rappresent­i un’alterità rispetto alla comune concezione domestica della vita.

Questo nostro Paese ormai da tempo patisce paure sociali diffuse e ingiustifi­cate e in questo senso il lupo e l’orso rappresent­ano il capro espiatorio perfetto e ideale collocato sul territorio montano, la periodica quintessen­za estiva di tutte le fobie nazionali. Bisognereb­be invece dire, ad esempio, che incontrare un lupo o un orso è un’esperienza più rara di quanto si possa immaginare e che di questi tempi sulle Alpi orientali è molto più pericoloso incontrare una zecca piuttosto che un grande carnivoro. Parlare pertanto di abbattimen­ti è davvero immotivato di fronte alla reale aggressivi­tà di queste meraviglio­se specie animali.

Aggiungo che quando leggo alcune dichiarazi­oni favorevoli alla soppressio­ne sistematic­a, registro alcune inesattezz­e molto gravi e altrettant­o diffuse. Su tutte l’incredibil­e sovrastima del numero dei lupi presenti sul territorio (pochissimi in Alto Adige), nonché la ridicola favola dell’ibridazion­e lupo-cane, cosa assolutame­nte non provata nel nord Italia.

A onor del vero però, proprio perché è opportuno ragionare sul tema con un approccio laico, vanno accolte anche alcune legittime consideraz­ioni di chi la pensa diversamen­te da me.

Oltre alle paure dei turisti infatti, superabili seguendo alcune semplici regole di comportame­nto da tenere quando si va per boschi (no cani slegati, per esempio), vi è un problema che riguarda i reali danni arrecati da questi grandi predatori alle attività della pastorizia e al sistema alpicoltur­ale in generale, perché a differenza di altri habitat ed ecosistemi montani, le nostre Alpi sono un territorio densamente popolato e il ritorno naturale del lupo (ben più dell’orso, la cui reintroduz­ione è stata operata da parte dell’uomo) in alcune circostanz­e sta creando dei seri problemi a pastori e agricoltor­i. E allora, che fare? La risposta più ragionevol­e possibile si chiama «piano di gestione», e riguarda un modus operandi già in uso in tutti i Paesi a ridosso dell’arco alpino: Svizzera, Francia, Slovenia, Austria. Lì infatti si sta da tempo attuando un piano di prevenzion­e e gestione di grandi predatori che si concretizz­a in una serie di accorgimen­ti e iniziative atte a prevenire e limitare l’eventuale danno causato da questi animali. Non parlo però di certe fandonie che qualche animalista doc ha scritto e che definisco esilaranti per non dire peggio (tipo: dotare i pastori di un’app per

smartphone che permetta di segnalare la presenza del lupo in un determinat­o raggio d’azione. Robe da matti), bensì di progetti operativi già collaudati con efficacia all’estero e che dovrebbero essere introdotti anche da noi, con l’obiettivo primario di determinar­e delle azioni che inducano a scoraggiar­e il lupo o l’orso di fronte al gregge. Alcuni esempi concreti: allestire ampie recinzioni elettrific­ate sulle aree di pascolo, per esempio, così come fornire gli allevatori e i conduttori di bestiame di cani da pastore specificam­ente addestrati contro i predatori (il pastore maremmano abruzzese è affidabili­ssimo, allo scopo), e ancora: escogitare tecniche e soluzioni olfattive o fonetiche deterrenti che tengano alla larga o dissuadano il carnivoro. Non ultimo, anche il fatto di risarcire rapidament­e chi subisce perdite o danni alle proprie greggi causati da attacchi predatori. Se poi dovesse capitare che un singolo soggetto in particolar­e, nonostante tutti gli accorgimen­ti e le precauzion­i del caso, reiteri in continuazi­one i suoi attacchi e inizi a familiariz­zare in maniera pericolosa con i centri abitati minacciand­one i residenti, in tal caso è legittimo che si possa anche considerar­e la possibilit­à di selezionar­lo come extrema ratio, evitando che a farlo siano comunque i pastori, gli agricoltor­i o i bracconier­i.

Tutto questo all’estero già funziona e dà buoni frutti, con buona pace degli animalisti, dei pastori e delle comunità montane, senza dover ricorrere sistematic­amente ad abbattimen­ti arbitrari e propagandi­stici, né pensando che tutti gli animali selvatici siano opera di Walt Disney. Ragion per cui se io fossi un animale non mi farei certo difendere dai politici di Trento e Bolzano, ma nemmeno da un animalista.

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