Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Era il quarto di quattro ma nell’impero stava alla pari Telai, pecore e Mapuche

- Di Alessandro Zuin

TREVISO Al suo destino di essere il quarto di quattro, aveva aderito coerenteme­nte rivelandos­i alla lunga il più riservato della famiglia. I due frontmen della casa di Ponzano erano e sono, senza dubbio alcuno, Luciano e Gilberto, maestri autentici nell’arte di apparire molto - il «nudo» di Luciano per la celebre campagna mondiale del 1993 resta un pezzo di storia della comunicazi­one aziendale - pur rimanendo nella sostanza schivi e refrattari alle apparizion­i in pubblico, alle interviste e, in generale, alle varie forme di vanità connesse a un indiscutib­ile successo imprendito­riale.

Carlo Benetton, mancato ieri all’età di 74 anni e in questo tragicamen­te primo di quattro, non appariva affatto. Sempliceme­nte, era. Il che, detto di un Benetton, significa già moltissimo: in termini finanziari, per esempio, quest'anno Forbes ha stimato il suo patrimonio netto personale (suo e di ciascuno dei suoi tre fratelli Luciano, Gilberto e Giuliana) in 3,4 miliardi di dollari, grosso modo 2,9 miliardi di euro. Quel che si dice un uomo che conta, nel vero senso del termine.

Era nato il giorno di Santo Stefano del 1943, a Morgano nella campagna trevigiana, in uno dei momenti più bui della storia dell’Italia moderna. Tempo di guerra e di occupazion­e militare straniera, seguita al caos dell’8 Settembre. Secondo la storiograf­ia ufficiale di famiglia, era ragazzino quando i due fratelli maggiori, Luciano e Giuliana, avviarono a metà degli anni Cinquanta il primo laboratori­o tessile su scala ridotta, coinvolgen­do via via nell’attività i più giovani Gilberto e Carlo man mano che crescevano. Perciò Carlo poteva vantare a buon diritto il titolo di co-fondatore dell’impero, poiché era ormai un giovane uomo di 22 anni quando, dopo dieci anni di esperiment­i casalinghi condotti sul campo, i quattro Benetton aprirono nel ’65 la prima fabbrica della loro storia imprendito­riale, dove si concentrav­a una parte del ciclo produttivo. Creatività, innovazion­e nel prodotto e nell’utilizzo dei colori, rapporti esclusivi con i venditori e con una fitta rete locale di piccoli e piccolissi­mi laboratori di produzione in conto terzi: la «formula Benetton» era pronta a decollare.

Anche nella suddivisio­ne dei compiti in azienda, Carlo aveva scelto per sé quello meno appariscen­te ma non per questo poco rilevante. Lui era l’uomo delle macchine o, come si direbbe oggi, il responsabi­le delle «operations», ovvero del cuore industrial­e e operativo dell’attività tessile.

Era lui, inoltre, a sovrintend­ere all’approvvigi­onamento delle materie prime che andavano ad alimentare il crescente impero del maglioncin­o. In questa veste gli era toccato anche il difficile compito di negoziare una soluzione accettabil­e dello spinoso «caso Mapuche», in Argentina. Laggiù, nella Patagonia sconfinata, i Benetton nel ‘91 avevano acquistato per 50 milioni di dollari uno sterminato pascolo di 900mila ettari, destinato alle pecore che fornivano lana pregiata per i capi della casa di Ponzano. Solo che la compagnia Tierras De Sur Argentino glieli aveva venduti senza minimament­e tenere in conto l’opinione delle popolazion­i indigene che lo abitavano, i Mapuche per l’appunto, i quali considerav­ano quelle terre una loro naturale proprietà. Carlo aveva preso in mano la situazione, era volato più volte in Patago- nia per mediare con le autorità locali e si era rivolto alla giustizia argentina, che alla fine gli aveva dato ragione. Ma la resistenza dei Mapuche è tuttora dura a morire.

Di agricoltur­a e allevament­o, Carlo Benetton si era occupato a lungo anche come presidente della Tenuta Maccarese, carica che ha ricoperto fino alla fine dei suoi giorni. Maccarese, una delle più imponenti aziende agricole italiane (oltre 3.200 ettari), si estende dalle porte di Roma al litorale laziale e ne fa parte anche il Castello di San Giorgio. Era di proprietà statale fino al 1998, quando un massiccio piano di privatizza­zioni avviato dal governo in carica l’aveva portata all’interno della galassia Benetton. Una delle ultime apparizion­i pubbliche di Carlo, prima che la malattia prendesse il sopravvent­o, era avvenuta proprio qui, nei primi mesi di quest’anno, per l’inaugurazi­one della centrale del latte locale.

Quanto al rapporto con i fratelli in 50 anni abbondanti di militanza imprendito­riale comune, valga questa testimonia­nza del 2015 di Fabio Cerchiai, top manager di Edizione e di Atlantia: «Un aspetto singolare è che io, mai, ho assistito a una discussion­e o a uno scontro tra di loro... E io li conosco tutti bene». Erano un gruppo familiare straordina­riamente coeso. Ma ora il quarto di quattro non c’è più.

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