Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«I tipi sospetti? Non è facile capire cosa fanno»
MESTRE «La retata della polizia tra il clan dei nigeriani che spaccia l’eroina killer nella zona di via Piave porta alla luce un mondo parallelo delle richieste di asilo. Le cooperative: «Segnaliamo subito i casi sospetti, ma non è facile capire cosa fanno».
Richiedenti asilo con MESTRE appartamento in affitto pagato in proprio, un business sui subaffitti e un traffico di domicili fittizi: la retata della polizia tra il clan dei nigeriani che spaccia l’eroina killer nella zona di via Piave porta alla luce un mondo parallelo delle richieste di asilo che non coinvolge le cooperative cui vengono erogati i famigerati 35 euro al giorno a migrante stanziati dall’Europa. Gli arrestati che vivono in centri di accoglienza sarebbero poco meno di una decina, tutti gli altri hanno trovato soluzioni diverse. Dieci erano formalmente senza fissa dimora; Eric ed Emmanuel erano domiciliati nell’appartamento di Robegano che fungeva da deposito per l’eroina; Juliet, 39 anni, unica donna coinvolta nelle misure cautelari, ha la residenza in un condominio in una laterale di viale San Marco, a Mestre, e Victor ha dato come indirizzo un appartamento nella centralissima via Querini, a due passi dalla sede della Caritas.
Moltissimi, invece, pareva facessero i pendolari dalla province di Verona e di Padova. «Nessuno dei nostri richiedenti asilo risulta arrestato nella retata — spiega Denis Baldan, referente per l’accoglienza dell’associazione diocesana —. Tra operatori e forze dell’ordine c’è continua collaborazione, di segnalazioni ne facciamo e quando c’è la prova di colpevolezza significa che il soggetto decade dal programma di accoglienza. Ma bisogna tener contro che c’è un business del subaffitto e di domicili fittizi: non tutti i richiedenti asilo sono nei centri». Se ne pagano di affitti con i guadagni dello spaccio, eppure alcuni degli arrestati risultano accolti dalle cooperative. S.A. stava nella residenza di via Miranese della «Gea», che lo aveva già segnalato alla polizia e una settimana fa era stato messo agli arresti domiciliari proprio nella struttura.
Si era fatto notare dagli operatori per il disinteresse a seguire i corsi di italiano, le attività associative, i progetti per lavori di pubblica utilità. «Lo avevamo indicato perché fosse revocato dal progetto di accoglienza — spiega il responsabile della «Gea», Marco Tombolani — ci aveva mostrato delle carte che ci avevano messo in allarme. È il primo caso in quattro anni». All’Ostello a Colori di Mira i casi di allontanamento volontari non sono così rari e dal giorno della retata sono tre i richiedenti asilo che mancano all’appello. «Non abbiamo avuto notizie dalla questura, attendiamo che trascorrano i canonici tre giorni di assenza per segnalarli alla prefettura per la decadenza dal progetto — spiega Lucio, il responsabile —. Non avevamo avuto segnali e noi persone così non ne vogliamo, ma è anche difficile controllare. Tutti escono di giorno, alcuni vanno a scuola e se altri vanno a spacciare, come si fa a sapere? Altri tornano tardi, di notte». L’indirizzo di un paio di arrestati porta agli ex hotel Byron di Mira, che sono della «Gestour»: i telefoni squillano a vuoto e su Google la struttura è ancora recensita come albergo a una stella: valutazione scarsa e foto che sono selfie dei migranti ospitati.
Tombolani (Gea) Per alcuni già chiesta la revoca dell’accoglienza