Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

I PERICOLI E L’INCANTO DEI MONTI

- di Gabriella Imperatori

Ogni estate passo almeno un mese in un villaggio delle Dolomiti, una specie di presepio tra i boschi della val Zoldana, circondato dai torrioni del Pelmo, dalle muraglie del Civetta, della Moiazza, del San Sebastiano. D’inverno diventa candido e attira torme di sciatori coloratiss­imi (quelli detestati da Rigoni Stern) che scendono a precipizio dalle piste collegate a quelle di Alleghe, Arabba, Corvara, passo Giau, Cortina… Ma d’estate, a parte la prima quindicina di agosto, i villaggi della valle sono popolati solo da turisti adolescent­i guidati dai loro istruttori, da anziani sorretti dalle racchette che si spingono fino ai rifugi più accessibil­i, da bimbi piccoli in cerca di fragoline al seguito dei genitori o di «giovani» nonni che ne fanno le veci, da escursioni­sti che si arrampican­o su costoni di roccia spesso fragili, a volte assassini.

La bellezza e l’incanto delle Dolomiti che al tramonto s’illuminano diventando rosa per il ferro che la loro pietra contiene, richiedono infatti competenza e prudenza, che non sempre bastano, peraltro, a garantire l’incolumità di chi le sfida. In pochi giorni, due o tre, anche quest’anno si sono verificati vari incidenti, gravi o meno gravi: cadute rovinose, malori, perdite di orientamen­to che han richiesto l’intervento di elicotteri del soccorso alpino. Colpa delle rocce friabili, almeno le cadute, ma anche dell’incoscienz­a, a volte, di chi si avventura fra i ghiaioni senza prima consultare il meteo, senza l’equipaggia­mento necessario, o perfino in tenuta da spiaggia.

L’estate scorsa una turista di mezza età s’è avventurat­a da sola nel «Bosconero» ed è sparita nella foresta intricatis­sima, da cui è uscita una telefonata subito interrotta che chiedeva aiuto, poi più nulla. La zona è stata perlustrat­a per mesi, ma la donna non è stata trovata né viva né morta, forse perché caduta nel fondo di un crepaccio, o chissà: è diventata una leggenda.

Si parla molto anche della presenza di lupi e di qualche orso sconfinato dalle regioni vicine. Animali che non attaccano l’uomo se non percepisco­no rischi per i loro cuccioli, ma che spesso decimano le greggi, tanto che in provincia di Trento e Bolzano si sarebbe consentito di dargli la caccia, a dispetto delle proteste degli animalisti.

Eppure, anche se non mancano i pericoli, chi se lo può permettere non deve rinunciare al contatto con la natura, generosa o matrigna, che chiede rispetto, che molto dà ma mai gratis.

Resta, intatta, l’allegria dei mercatini, delle feste a base di piatti tipici e di favolosi gelati. Il silenzio dei prati rotto soltanto dallo scampanell­io degli armenti. Il focolare acceso nelle malghe e nei rifugi. Resta la meraviglio­sa pulizia delle strade lastricate dei paesi, dove la raccolta differenzi­ata è davvero un must per tutti. Resta la possibilit­à di meditare, contemplan­do gli svolazzi delle rondini, ma anche di cantare e ballare sotto le stelle. Resta infine quel «Buongiorno!», o quel «Sani!» che tutti o quasi tutti si scambiano con un sorriso, tanto diverso dalle espression­i ingrugnate che troppo spesso si scontrano nelle nostre città. Non c’è mondanità, quassù, ma c’è, ed è un lusso, il fascino di una montagna incantata e, forse, il conforto di una ritrovata empatia fra sconosciut­i.

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