Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
UNIONI CIVILI, FALSO PROBLEMA
Nell’89 non cadde solo il muro di Berlino. Cadde anche un altro muro, non militare e politico ma psicologico e culturale: divenne possibile infatti «sposarsi» anche per le coppie dello stesso sesso. Chi iniziò fu la Danimarca e i due che si registrarono per primi furono una stagionata coppia di anziani, militanti del movimento omosessuale e fidanzati da ben 40 anni. Poi altri paesi avviarono legislativamente questa possibilità ed anche l’Italia, come sappiamo, nel maggio del 2016 sfornò la sua legge sulle unioni civili. Ma i dati – in Italia come altrove in Europa – sono modesti e per di più in contrazione. Dopo un primo momento in cui si regolarizzarono le coppie in attesa da chissà quanto tempo, il numero delle unioni civili si è ridimensionato togliendo fiato a chi temeva chissà quale snaturamento della famiglia e facendo uscire il tema delle unioni omosessuali perfino dal radar curioso dei media. In Italia nella seconda metà del 2016 le unioni civili furono 2.433, nell’intero 2017 appena 3.640. In rapporto ai matrimoni veri e propri le unioni civili erano il 2,1 per cento nel 2016, per scendere all’1,8 nel 2017. Qualcuno è rimasto perfino deluso e ha creduto ad un flop della legge istitutiva, che pure tante polemiche aveva generato. Tuttavia bisogna pensare che, mediamente, i «non eterosessuali» sono il 3 per cento della popolazione; e di questi quattro su dieci sono bisessuali, e quindi ben poco interessati a creare una unione stabile.
Inoltre probabilmente la stessa tendenza alla deistituzionalizzazione dei matrimoni eterosessuali (sostituiti da convivenze o da coppie a distanza) coinvolge anche gli omosessuali, non tutti motivati ad arrivare alla formale e visibile legalizzazione del loro stare insieme. Inoltre l’Italia, come sempre molto «lunga», presenta ancora una volta una geosociologia assai differenziata. Si va infatti da regioni come Lombardia, Emilia e Lazio in cui è più forte la preferenza degli omosessuali ad avviare le unioni civili (le percentuali sui matrimoni superano il 3) a regioni – come Calabria, Molise, Sicilia – in cui tale preferenza è bassissima e quasi irrilevante. In Veneto – nonostante il romanticismo di Venezia, di Verona e del Garda – siamo in una situazione intermedia, con 1,7 unioni civili ogni cento matrimoni (più o meno come il Trentino e l’Umbria). E’ poco, è molto? La domanda non ha senso. Anche perché nell’amore omosessuale valgono le migrazioni interne, che favoriscono (comprensibilmente) i grandi centri più che quelli piccoli, il nord più che il Mezzogiorno.
Di sicuro sono piccoli numeri che confermano il pluralismo dell’amore e della sessualità ma che certamente non minacciano la cosiddetta famiglia tradizionale. Che invece ben altre sfide deve fronteggiare se vuole essere solida in una società liquida.