Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
DECRETO DIGNITÀ BOOMERANG
Chissà perché Luigi Di Maio si ostina a non capire (o più probabilmente continua a fingere di non capire) un concetto tutto sommato semplice: la stretta sui contratti a termine non genererà alcun aumento dei contratti a tempo indeterminato. Gli automatismi non esistono: se togli da una parte non aggiungi niente dall’altra. Insomma, il Decreto dignità, così come è stato concepito, non creerà buona occupazione. Peggio: almeno nell’immediato avrà addirittura ripercussioni negative sul mercato del lavoro. Ha voglia, Di Maio a indignarsi. Ben prima di Tito Boeri, presidente dell’Inps, e dello scontro all’arma bianca sugli 8 mila posti all’anno che andrebbero perduti, sono stati in molti a provare a spiegare al superministro del Lavoro e dello Sviluppo economico questo clamoroso effetto boomerang. A partire da Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto, e Pietro Ferrari, leader degli industriali dell’Emilia Romagna, passando per il trentino Enrico Zobele. In pratica, i big di quel nuovo triangolo industriale Milano-Venezia-Bologna, dove la ripresa ha permesso di recuperare abbondantemente i livelli lavorativi ante-crisi. Il coro è stato unanime: la riduzione della durata dei contratti a termine, compresi quelli in somministrazione, e la reintroduzione delle causali porteranno a un maggiore turnover di lavoratori (ogni 12 mesi si cambierà personale).
Non basta: in questo scenario un buon numero di contratti non verrà rinnovato.
Si torna dunque al punto di partenza: l’idea di un travaso tra contratti a termine e contratti a tempo indeterminato è lontana anni luce dalla realtà. Intanto il Decreto dignità ha cominciato il periglioso passaggio parlamentare. Già si parla di un migliaio di emendamenti.
Mentre M5s e Lega avrebbero raggiunto l’accordo su un paio di mosse: la reintroduzione dei voucher in settori come l’agricoltura e il turismo e la restituzione dello 0,5% di aggravio contributivo nel momento del passaggio al tempo indeterminato. Modifiche che non ribaltano l’impianto del Decreto. La lotta alla precarietà è un capitolo qualificante del governo del cambiamento? Perfetto. Solo che la strada non è ostacolare i contratti a termine ma favorire (davvero) quelli a tempo indeterminato.
La partita di giro dello 0,5% non può nemmeno esser ascritta alla voce incentivi. Occorre un grande piano di agevolazioni, non solo riservato agli under 30, che parta dalla formazione e arrivi all’assunzione.
Per inciso, la decontribuzione di Matteo Renzi era costata una ventina di miliardi. Ci vogliono quattrini e idee. Un dato, però, è certo: nel nuovo triangolo industriale le imprese non vogliono lavoratori precari ma altamente qualificati.