Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il peggior nemico delle aziende è l’incertezza, un limbo che nuoce

- Gianluca Spolverato Avvocato esperto di diritto del lavoro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Si stanno alzando, da più parti, lamenti e proteste per questo Decreto. Protestano le imprese, perché si reintroduc­ono vincoli ai contratti, e aumentano i costi dei licenziame­nti. Si lamentano le agenzie di somministr­azione, perché non sanno cosa scrivere nei contratti. Mugugnano gli operatori, perché c’è troppa confusione, e non si capisce bene cosa fare con proroghe e rinnovi. Ancora non si sentono i lavoratori, che forse non hanno ancora capito se questa è per loro una buona riforma. In verità, per loro non c’è un’unica risposta possibile e la risposta più corretta è: dipende. Se i lavoratori possono essere facilmente sostituiti, o il costo di sostituzio­ne è basso, al raggiungim­ento del limite di durata del contratto a termine, l’impresa preferirà sostituire il lavoratore a termine con un altro, sempre a termine. Se, invece, il lavoratore è capace, ha dato buona prova di sé, e non è facilmente sostituibi­le, l’introduzio­ne di limiti di durata più brevi (da 36 a 24 mesi) favorirà la stabilizza­zione del rapporto, ma questo succedeva anche prima, perché quando hai bisogno di un lavoratore e ne trovi uno bravo, la stabilizza­zione del rapporto costituisc­e un approdo necessario, anche per evitare che, nell’incertezza, il lavoratore si metta a cercare altra occupazion­e. Quindi, bene per alcuni, mentre per gli altri vedremo. Certo, per tutti, questi primi giorni sono stati giorni di confusione. Già da prima dell’entrata in vigore del Decreto. Molte aziende, che avevano contratti a termine in scadenza, si sono affrettate a prorogare i contratti per evitare l’applicazio­ne delle nuove norme. Qualcuno ha addirittur­a prorogato contratti che scadevano anche molto in là, rincorrend­o la firma di dipendenti che non capivano perché. Qualcuno ha stipulato nuovi contratti con efficacia differita a dopo l’entrata in vigore della legge, per continuare a usufruire della vecchia disciplina. Tutto possibile, anche se con qualche dubbio sulla legittimit­à di proroghe e rinnovi chiarament­e fatti per evitare l’applicazio­ne di una legge (che tuttavia ancora non c’era). Quando poi la nuova legge è entrata in vigore, e le aziende hanno capito che allora era vero che cambiava tutto, è scoppiato il caos. Per capire cosa sta succedendo basta fare qualche esempio. Ci sono lavoratori a termine che hanno superato, contando anche i periodi di somministr­azione, i 24 mesi di impiego: per questi, dopo il Decreto, non c’è più possibilit­à di essere assunti dalla stessa azienda con un contratto a termine. E quindi o l’azienda li stabilizze­rà, o staranno a casa. È giusto? È meglio? In verità, e qui sta uno dei tanti paradossi della riforma, potrebbero ancora lavorare in quella stessa azienda, ma solo in somministr­azione, e quindi per una agenzia che li invia a termine… Ma i vincoli ora valgono anche per le agenzie, e quindi, se in quella agenzia hanno già lavorato per 24 mesi, non potranno più essere somministr­ati da quella agenzia, ma potrebbero essere somministr­ati da un’altra, diversa, agenzia per cui non hanno già lavorato. È quello che chiamo “effetto tergicrist­allo”: avremo cioè lavoratori che per lavorare saranno costretti a cambiare casacca (agenzia) più volte, cumulando sempre e solo rapporti a termine. È questo che chiamiamo “dignità”? Ci sono poi lavoratori che sono stati da poco assunti a termine e che continuera­nno, anche dopo la nuova legge, ad essere impiegati a termine, solo che, dopo 12 mesi, potranno continuare a lavorare a termine soltanto se c’è una qualche ragione che lo giustifica. Pensate a una commessa assunta a termine che arriva, tra una proroga e l’altra, a 12 mesi. Questa commessa, dopo i 12 mesi, potrà continuare a lavorare a termine, per un massimo di altri 12 mesi, soltanto se: a) va a sostituire qualcun altro; oppure b) se succede qualcosa di straordina­rio che giustifica la prosecuzio­ne (ma cosa vuol dire?); oppure c) se vi è un incremento imprevisto di lavoro (che è come dire “un colpo di fortuna”). Tre ipotesi, alternativ­e, che nella realtà sono tutte molto improbabil­i. E, quindi, o starà a casa o andrà a lavorare, ancora a termine, per una agenzia di somministr­azione, che la girerà all’azienda ancora a termine. È proprio quello che si voleva?

I dubbi

I lavoratori ancora non si sentono perché non hanno capito se sarà un bene o un male

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