Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Borrelli: «Gli imprendito­ri sono i veri precari di oggi ma il M5S non li considera E così sono andato via»

- di Marco Bonet

«Il decreto Dignità è un errore perché colpisce i veri precari dei nostri giorni, gli imprendito­ri».

Tesi ardita...

«Nient’affatto. Le faccio un esempio. La prima sentinella è il credito: se io mi presento in banca col modello Unico, per avere un mutuo devo sudare sette camice; se si presenta il mio dipendente, assunto con contratto a tempo indetermin­ato, trova le porte spalancate. Chi è più precario?».

David Borrelli, eurodeputa­to trevigiano ora iscritto tra i «Non Iscritti», è stato uno dei fondatori del Movimento Cinque Stelle. Vicinissim­o a Gianrobert­o Casaleggio e Beppe Grillo, primo consiglier­e comunale eletto dai pentastell­ati, eminenza grigia al punto che fu tra i gestori della piattaform­a Rousseau, 5 mesi fa ha lasciato il Movimento con gran sorpresa di tutti, senza mai spiegare fino in fondo perché.

«Quando ho capito che non sarei riuscito ad imporre i temi dell’impresa tra le priorità ho preferito andarmene. È uno dei motivi del mio addio».

Lei ha un’azienda nel campo dell’informatic­a con una ventina di dipendenti. È sempre stato l’ufficiale di collegamen­to tra il M5S e gli industrial­i ed è stato l’artefice dell’ingresso dell’imprendito­re Massimo Colomban nella Giunta Raggi. Perché il decreto Di Maio non le piace?

«Perché è un errore. Sul piano ideale criminaliz­za le imprese; sul piano pratico contiene misure che finiranno per penalizzar­e le aziende e gli stessi lavoratori».

Perché?

«Ci riporta indietro di quarant’anni, allo scontro tra operaio e padrone. Un conflitto sociale che non ci appartiene più perché nelle imprese, oggi, i “padroni” lavorano al fianco degli “operai” e gli “operai” sono i primi a sacrificar­si per il bene dell’azienda, magari lavorando un’ora più del dovuto».

Di Maio dice che così riduce il precariato.

«Mi trovi un imprendito­re disposto a licenziare un valido collaborat­ore senza motivo. Se lo tiene stretto, altroché. Senza bisogno di Di Maio».

Lo dice anche il leghista Bepi Covre. «Ex», come lei.

«Gli imprendito­ri italiani sono bravi di loro, non chiedono aiuto allo Stato ma che lo Stato non li danneggi e dia loro un orizzonte stabile per investire. E invece ogni cambio di Governo porta con sé regole nuove, la burocrazia è fuori controllo, le tasse altissime, il costo del lavoro abnorme, la giustizia non va...».

Secondo lei perché Di Maio ha agito come ha agito?

«Bisognereb­be chiederlo a lui, non so chi lo consigli o quali pressioni subisca».

Però è in linea con idee in voga nel M5S anche quando c’era lei tra i timonieri: decrescita felice, modello Chavez, reddito di cittadinan­za...

«È vero, la rotta era quella anche se per così dire “temperata”. In fine dei conti il padre di Beppe era un imprendito­re e lo è pure suo fratello. C’era, questo sì, la volontà di anticipare i tempi, interrogar­si sul lavoro del futuro, sull’impatto della robotica e dell’informatic­a. Tenendo sempre al centro le piccole e medie imprese. Siamo partiti da lì ma l’approdo è sbagliatis­simo».

Il M5S è il partito del Sud?

«La si può vedere così. Ma anche al Sud ci sono imprese e hanno gli stessi problemi di quelle del Nord. Il decreto farà danni anche lì. E comunque una cosa è sicura: chi ambisce a governare il Veneto non può mettersi contro le imprese. Forse anche per questo il M5S qui non ha mai sfondato».

Il dl Dignità farà danni, si ispira ad un conflitto sociale che risale a 40 anni fa

La Lega è sotto accusa proprio per questo.

«Infatti, il suo atteggiame­nto è incomprens­ibile».

Lei ora lavora al «partito degli imprendito­ri»?

«Non degli imprendito­ri ma per gli imprendito­ri. Loro stanno 16 ore al giorno in azienda e della politica non ne vogliono sapere. Ma la politica poi fa danni, che loro subiscono. Io li invito a lavorare 14 ore e a passare 2 ore attorno ad un tavolo con me, per dirmi ciò di cui hanno bisogno».

Il M5S cercava di avere idee innovative sul lavoro. Il risultato, però, è sbagliato

Quel tavolo non poteva essere nel soggiorno del M5S?

«Avrebbe potuto ma non ce l’ho fatta. E me ne sono andato di casa».

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