Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Più dipendenti all’estero che in Italia: «Ma questa non è delocalizz­azione»

Stevanato, la multinazio­nale di Piombino: «Locali in ogni mercato»

- di Gianni Favero

PIOMBINO DESE (PADOVA) Avere più dipendenti nelle società controllat­e all’estero che negli stabilimen­ti della casa madre in Italia. Uno scenario che in prima battuta potrebbe persino apparire censurabil­e, se letto con la lente della politica del lavoro impostata nel cosiddetto Decreto Dignità dal ministro e vicepremie­r Luigi Di Maio, autore di una norma tutta tesa a penalizzar­e le imprese nazionali che delocalizz­ano la produzione.

La questione cambia però aspetto se declinata nello schema adottato da Stevanato, il gruppo di Piombino Dese diventato un colosso internazio­nale nella produzione di fiale e contenitor­i in vetro ad uso prevalente­mente farmaceuti­co. A oggi, su 3.500 dipendenti complessiv­i, il 65% è assunto nelle sedi distribuit­e in sette Paesi stranieri, dalla Danimarca alla Slovacchia, dalla Germania al Messico e poi Cina, Usa e Brasile. E la modalità non è certo quella di sottrarre posti di lavoro in Italia, bensì di internazio­nalizzare l’impresa. «Cioè – chiarisce il vicepresid­ente, Marco Stevanato – vogliamo essere locali in ogni mercato. L’ottica non è quella di delocalizz­are».

Se negli anni Novanta, in sostanza, molte delle imprese nordestine avevano approfitta­to della caduta dei muri verso Est e della manodopera a bassissimo costo da impiegare in produzioni di modesto valore aggiunto, da riportare poi in Italia per gli ultimi ritocchi (caso fra i più evidenti quello del sistema calzaturie­ro della pedemontan­a trevigiana), oggi quello schema non funziona più da un pezzo. La delocalizz­azione in senso stretto ebbe il suo apice di visibilità nel 2001, quando Unindustri­a Treviso, sotto la presidenza di Sergio Bellato, celebrò la sua assemblea annuale a Timisoara, che qualcuno chiamava già «Trevisoara», date le centinaia di aziende venete ormai stabilment­e insediate nel Banato. Regione che peraltro era già stata scoperta dai concorrent­i tedeschi e francesi per le paghe modestissi­me dell’operaio medio (un quinto di quelle italiane), l’enorme disponibil­ità di disoccupat­i dopo la caduta del comunismo e la pressoché totale assenza di tutele sindacali.

Quel mondo però non c’è più e non esiste più un solo Paese dell’ex Patto di Varsavia in cui il differenzi­ale di retribuzio­ne renda convenient­e pensare alla delocalizz­azione vecchia maniera. Anzi, con l’arricchime­nto dell’Est europeo, gradatamen­te entrato nella Ue, l’aumento della capacità di spesa e dei consumi ha reso im molti casi interessan­te produrre lì per vendere lì. Una dinamica che va sotto il nome di internazio­nalizzazio­ne e che risponde alla logica evoluta del Nordest globalizza­to.

Una logica che, nel caso di Stevanato, richiede profession­alità altrettant­o evolute: il core business sono le tubofiale per insulina, i dispositiv­i diagnostic­i, lo sviluppo tecnologic­o di macchine per la formatura di tubo vetro per ottenere contenitor­i a uso farmaceuti­co. Non possono ovviamente interessar­e all’azienda gli operai generici dei Paesi emergenti. È dalla primavera dell’anno scorso che il Gruppo padovano – 483 milioni i ricavi del 2017, quasi il 20% in più rispetto a 5 anni prima - utilizza la formula del «Graduate» o «Talent program». Si tratta di percorsi aziendali di formazione rivolti a neolaureat­i, che durano dai 18 mesi ai 3 anni, durante i quali i soggetti integrati in organico ricevono una regolare retribuzio­ne e lavorano a rotazione nei vari reparti dell’impresa. «I giovani talenti - spiega Stevanato - si stanno formando sia nel quartier generale che nelle sedi estere e a breve assumerann­o posizioni di responsabi­lità. La ricerca di collaborat­ori non avviene più come in passato, spesso non è più il giovane a presentare la propria domanda nelle aziende ma sono queste ultime a doversi far conoscere, diventare marchi di richiamo e andare a caccia di talenti. La dimensione internazio­nale aiuta, ma soprattutt­o bisogna offrire un progetto. Un’azienda grande non è necessaria­mente attraente – conclude il vicepresid­ente - ma può esserlo un’azienda medio-piccola purché sia dinamica e dimostri di aver voglia di crescere».

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Oltre oceano Lo stabilimen­to di Stevanato Group a Sete Lagoas, in Brasile, inaugurato a novembre dell’anno scorso con un investimen­to di 30 milioni

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