Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

QUELLE DUE LEGHE NELLA LEGA

- Di Marco Bonet

Eil terzo giorno, Zaia parlò. Incalzato da ogni parte, con gli amici di Forza Italia e i nemici del Pd a ironizzare: «Prima il Veneto o prima la Lega?», invocato dagli industrial­i come l’unica figura dialogante e ragionevol­e di un partito sempre meno «sindacato del Nord», il governator­e ha infine detto che sì, «il decreto Dignità dev’essere cambiato» perché così non va e «se verrà approvato come è stato presentato rischia di avere un impatto pesante». Zaia, sempre abile a camminare sul filo che divide lotta e governo, politica e amministra­zione, mette subito le mani avanti: «I materiali artefici di questa partita sono i Cinque Stelle» e per tutta l’intervista rilasciata al Gazzettino si prodiga per dimostrare che dalla Regione al parlamento la Lega sta facendo di tutto per rimediare all’errore di Di Maio. Ma è indubbio che nel prendere finalmente posizione, il governator­e si è messo sul fronte opposto rispetto al suo leader, Matteo Salvini, al suo segretario, Toni Da Re, e all’intera catena di comando leghista che invece da giorni sta difendendo con le unghie la linea del governo, non lesinando ruvidezze. E dunque Salvini, che dice di conoscere bene gli imprendito­ri veneti (ma evidenteme­nte non sono gli stessi che conosce Zaia), liquida le proteste di Confindust­ria con un laconico: «Sono in cinque…»? Zaia avverte: «È l’impresa del Veneto a 360 gradi, quindi non solo gli industrial­i, ad avere perplessit­à e istanze, penso che questo non sia irrilevant­e».

Da Re scudiscia gli imprendito­ri dicendo di non accettare lezioni da loro perché «pensano solo al dio denaro»? Zaia li soccorre: «Non trovo assolutame­nte irrituale che le imprese e i loro rappresent­anti possano dire la loro su questa partita».

È, questo del decreto Dignità, solo l’ultimo episodio che i colonnelli leghisti rubricano alla voce «Grande Freddo», quello calato tra Zaia e il suo partito in questi mesi. C’è un tema mediatico ed è presto detto: l’iperattivi­smo di Salvini a reti unificate ha completame­nte oscurato il resto della prima fila leghista, diventata finalmente «corale» dopo il declino di Bossi, e tra coloro che più ne hanno risentito c’è sicurament­e Zaia, un tempo tra i dirigenti con la maggiore visibilità nazionale. Poi c’è un tema politico, che riguarda la svolta nazionalis­ta, sovranista e perfino sudista impressa da Salvini alla Lega, difficilis­sima da gestire in un Veneto autonomist­a, internazio­nalista (almeno nel capannone) e ancora fortemente nordista, se non padanista e di più, indipenden­tista. Ma c’è pure l’aggravarsi del scontro con la Chiesa (con cui Zaia ha sempre avuto ottimi rapporti), l’accentuars­i di posizioni radicali in tema di omosessual­ità (come dimostrano le ultime dichiarazi­oni del ministro della Famiglia Lorenzo Fontana) e immigrazio­ne (Zaia è contrario ma sicurament­e non può essere arruolato tra le fila di Primato Nazionale e Casapound, i cui toni, specie sui social, ormai dominano il dibattito a destra).

I colonnelli che gli sono più vicini (sono pochissimi perché come ripete lo stesso governator­e «gli Zaia boys non esistono» e questa è da sempre indicata come una bizzarra anomalia) mettono in fila altri episodi recenti, meno teorici e assai più spicci. La scientific­a esclusione dalle liste delle Politiche del 4 marzo di tutti gli uomini riferibili al governator­e e al suo territorio, l’Alta Sinistra Piave. La successiva nomina a sottosegre­tari di due leghisti che nel partito vengono indicati da sempre come suoi antagonist­i, e cioè Massimo Bitonci (andato all’Economia) e Franco Manzato (all’Agricoltur­a, il cuore dell’elettorato di Zaia). A Treviso il neo sindaco Mario Conte non è sicurament­e riconducib­ile alla cerchia del governator­e, a cui ciò non di meno è stato chiesto di spendersi a tal punto da presentare la sua lista personale, in una sorta di conta interna poi vinta dalla compagine della Lega (il cui regista era l’eterno Paolo Gobbo) col 19% contro l’11%.

E ancora in Regione, dove per ben due volte e su due temi delicatiss­imi, il gruppo si è mosso in totale autonomia rispetto al suo presidente, che ben si sapeva avere idee diametralm­ente opposte: parliamo dell’eliminazio­ne del doppio mandato per i consiglier­i e del via libera alle fucilate ai lupi. Ora, ci si può trincerare sempre dietro il fatto che «il consiglio è sovrano»?

Infine, due episodi sull’asse Venezia-Roma: la sibillina intervista al Corriere con l’avvertimen­to al governo «amico» sull’autonomia, che in Lega raccontano fosse indirizzat­o al viceminist­ro (leghista) all’Economia Massimo Garavaglia, e la candidatur­a di Cortina alle Olimpiadi invernali del 2026, ostinatame­nte inseguita da Zaia che ha scompagina­to il «Piano Milano» creando non pochi grattacapi al sottosegre­tario (leghista) con delega allo Sport Giancarlo Giorgetti.

Una distanza, quella che si sta allargando tra il governator­e, ormai identifica­to in maniera totalitari­a con «il Veneto», e l’apparato del partito, sempre più legato al «Salvini nazionale», che potrebbe sfociare il prossimo anno nell’appoggio di Zaia alla candidatur­a del suo assessore allo Sviluppo economico Roberto Marcato al congresso per la segreteria nathional, contro l’uscente Da Re. Un’eventualit­à clamorosa al punto da rimettere tutto in discussion­e per le Regionali del 2020 e che se mai si avverasse certifiche­rebbe in maniera ufficiale ciò che molti già sussurrano in via ufficiosa, ossia l’esistenza di due Leghe nella Lega.

Il Grande Freddo Dalle liste del 4 marzo fino al prossimo congresso, la distanza tra i vertici si allarga

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