Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Cento anni fa nasceva la Canzone del Piave
Cento anni fa la prima esecuzione del celebre inno della Grande Guerra. Così la montagna vicentina diventò un simbolo La musica fu composta da Meneghetti, i testi dal generale De Bono
Baluardo, stella, gloria, … patria. Il Grappa, montagna sacra, parabola storica. È montagna di fiori, amati dai mistici. È montagna per alchimisti, che conoscono i segreti del mondo, nutriti come sono di fantasia, alla ricerca dell’oro che arricchisce l’Olimpo. Calvario e sofferenza l’hanno percorsa. Montagna incantata.
Il 24 agosto, giusto cent’anni fa, un coro di 300 soldati, davanti al Re, alle maggiori autorità militari, a nord di Villa Dolfin Boldù di Rosà (che oggi ospita decine di suore anziane dell’Istituto Maria Ausiliatrice di Torino), innalzò l’inno al Monte Grappa, accompagnato da un complesso bandistico d’eccezione.
Antonio Meneghetti, un ufficiale di fanteria, aveva musicato le parole del generale Emilio De Bono, scritte a Fonzaso, nella valle Feltrina, a ridosso del fronte. Dopo la «missione» di Gabriele D’Annunzio, partito dalla pista di San Pelagio, per il volo propagandistico su Vienna, ci volevano altri momenti forti per rincuorare le truppe verso la battaglia finale ancora sul Piave e verso Vittorio Veneto.
Il Grappa era diventato il simbolo. La musica poteva ridare la carica. Coraggio e ardimento dovevano essere rinfrancati. Meneghetti era un marchigiano chiamato a combattere col 77. Reggimento Fanteria della Divisione «Lupi di Toscana».
Il Monte Grappa un baluardo. Il generale Giardino lo presidiava. Il canto popolare dava il ritmo giusto. Le note accompagnano ancora il linguaggio dei simboli. Diventano la voce del cuore. Un’altra canzonetta inneggiava: «Bel Fante onnipossente, di niuno il Fante ha invidia, gli basta la gavetta…La sua cinquina…un sigaro e qualche canzonetta…».
Oggi si commemora quel giorno, in tanti Comuni del Pedemonte. Si cercano risvolti umani, meno enfasi, senza retorica, per conoscere e capire la storia, facendone memoria. E il Grappa, con la sua potenza, con la sua prepotenza può gridare forte l’anelito di pace: «Essi non si eserciteranno più nell’arte della guerra».
Il Massiccio del Grappa si estende su 400 chilometri quadrati, lambisce e si appropria dei confini di svariati comuni che ambiscono a fregiare ed arricchire i loro nomi di un suffisso «del Grappa», che li ingentilisce e lo onora: ecco Bassano, Romano d’Ezzelino, Pove, Solagna, San Nazario, Cismon in provincia di Vicenza; Borso, Crespano, Paderno, Possagno, Cavaso, Pederobba nella Marca Gioiosa che fa capo a Treviso; Alano, Quero, Feltre, Seren, Arsiè, comunità ambite da Belluno.
Isolato dalle ardite e cromatiche vette delle Alpi, il Grappa, battuto dal mormorio di un vento leggero, prosciugato dall’incandescenza del sole, è interpretato da un suono di parole che ricordano la sua storia, le mille storie, tradotte per ricordare e non tradire il suo passato.
I silenzi sottili, mai turbati dagli echi potenti che escono dalle viscere della terra, i bianchi silenzi, i trionfi della solitudine ne pervadono le valli, le ampie praterie, concedono a chi ricalca i sentieri di rientrare in sé stesso, di assaporare lo stupore di essere uomo.
Un simbolo, ed una testimonianza. Riascoltare la canzone del Grappa è occasione per ritrovare il ricordo di chi è morto in guerra (nel suo monumentale Ossario, sulla cima, sono raccolti i resti di oltre 23 mila caduti del primo conflitto mondiale, ragazzi di tutta Europa, la maggior parte ancora senza un nome, ed un Peter Pan, capace di evocare leggende).
Il massiccio del Grappa, la sua imponente struttura morfologica quasi tesa a proteggere la vasta pianura che da esso si diparte, non solo per le genti della Pedemontana, è e resta un emblema di sicurezza, appunto simbolo universale, da cui non staccarsi, esperienza di cui far tesoro. Il fatto stesso che non sia stato mai antropizzato lo rende luogo magico, di continue scoperte, dove la natura, la flora, la fauna trovano l’ambiente adatto per preservarsi e offrire straordinarie occasioni di esperienze.
Al di là delle caratteristiche geomor foliogiche, naturalistiche, storiche rendono la montagna un unicum tutto da scoprire.
Perfino nei suoi limiti, accettati come opportunità di scoperta da chi il Grappa lo vive da alpinista, che non si accontenta di raggiungere la cima, ad una altitudine di 1777 metri sul livello del mare, ma vi spazia, attraversando e risalendo i solchi vallivi, cogliendo le suggestioni dell’Astego, dell’Omic, del Tegorzo, dello Stizzon, della Cesila, di San Lorenzo o di Santa Felicita, di chi sale e ambisce a raggiungere la dorsale Colombara (1494 metri), il Cornosega (1128), le Meatte (1598), l’Archeson (1482), il Tomba (869), i 1672 metri del Solaroli, , il Peoma (1383), il Tomatico (1595), la cima del Pertica (1549), il Roncone (1168), l’Asolone e i suoi 1520 metri, il Col della Beretta (1448), il Col del Fenilon (1327), tutti nomi che il grande libro della storia ha segnato nelle sue pagine più drammatiche ed eroiche, scritte proprio cent’anni fa.