Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

PRIVATI E PUBBLICA UTILITÀ

- Di Paolo Gubitta e Maurizio Zordan

Dal tragico giorno del crollo del ponte Morandi a Genova, oltre al lavoro svolto da tecnici e magistrati per individuar­e cause e responsabi­lità del disastro, si è aperto il dibattito tra politici ed esperti sulla gestione delle imprese concession­arie di servizi pubblici. Qual è la funzione di queste imprese? Come devono essere gestite? Devono fare profitti o dare servizi pubblici a costi competitiv­i a prescinder­e dal risultato economico? E chi è più garante dell’equilibrio? Il gestore pubblico o quello privato? Per alcuni, le risposte portano senza indugio alla (ri) nazionaliz­zazione, così da rimettere la gestione delle attività di pubblico interesse nel perimetro delle imprese controllat­e dallo Stato. È come dire che le concession­i hanno espropriat­o il soggetto pubblico dei suoi poteri e adesso lo Stato se li riprende. Per altri, invece, la nazionaliz­zazione è una sciagura e indicano come soluzione l’ intensific­azione dei controlli delle imprese concession­arie in mano ai privati. È come dire che lo Stato ha abdicato al controllo e auspicare a una sorta di ravvedimen­to operoso per rimettere le cose in ordine. Queste due visioni sono opposte nel risultato, ma tra loro intimament­e collegate dal medesimo cordone ombelicale: la sfiducia (senza appello) nella capacità del capitalism­o privato di farsi carico di interessi e bisogni oltre i confini della proprietà, di riformarsi, di correggers­i e di evolvere.

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