Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
PRIVATI E PUBBLICA UTILITÀ
Dal tragico giorno del crollo del ponte Morandi a Genova, oltre al lavoro svolto da tecnici e magistrati per individuare cause e responsabilità del disastro, si è aperto il dibattito tra politici ed esperti sulla gestione delle imprese concessionarie di servizi pubblici. Qual è la funzione di queste imprese? Come devono essere gestite? Devono fare profitti o dare servizi pubblici a costi competitivi a prescindere dal risultato economico? E chi è più garante dell’equilibrio? Il gestore pubblico o quello privato? Per alcuni, le risposte portano senza indugio alla (ri) nazionalizzazione, così da rimettere la gestione delle attività di pubblico interesse nel perimetro delle imprese controllate dallo Stato. È come dire che le concessioni hanno espropriato il soggetto pubblico dei suoi poteri e adesso lo Stato se li riprende. Per altri, invece, la nazionalizzazione è una sciagura e indicano come soluzione l’ intensificazione dei controlli delle imprese concessionarie in mano ai privati. È come dire che lo Stato ha abdicato al controllo e auspicare a una sorta di ravvedimento operoso per rimettere le cose in ordine. Queste due visioni sono opposte nel risultato, ma tra loro intimamente collegate dal medesimo cordone ombelicale: la sfiducia (senza appello) nella capacità del capitalismo privato di farsi carico di interessi e bisogni oltre i confini della proprietà, di riformarsi, di correggersi e di evolvere.