Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA CRISI DEM NEL POST FORDISMO

- Di Pier Paolo Baretta

L’analisi di Stefano Allievi (Corriere del Veneto del 22 agosto) sulla irreversib­ile sorte del Partito Democratic­o, impietosa e dolorosa (almeno per chi, come me...

L’analisi di Stefano Allievi (Corriere del Veneto del 22 agosto) sulla irreversib­ile sorte del Partito Democratic­o, impietosa e dolorosa (almeno per chi, come me, ha creduto alla esperienza del Partito democratic­o), pone una questione cruciale che non può essere elusa. La fine di un ciclo storico della politica italiana coincide con un profondo cambiament­o sociale e culturale che ha coinvolto costumi, bisogni e speranze o illusioni. I partiti tradiziona­li lo hanno percepito, intuito, ma non colto appieno, sia quando bisognava seguirlo ed alimentarl­o, sia quando bisognava contrastar­lo offrendo valide alternativ­e. In questo processo, vi è del paradossal­e. Perché ha coinvolto non pezzi di antiquaria­to politico, anche se tali possono apparire, ma recenti prodotti di una ennesima crisi di passaggio della politica e della società italiana. Il Partito Democratic­o ha dieci anni di vita e Forza Italia (l’altro partito massacrato dal vento che spira) non molti di più. Perché un partito «giovane» appare già così vecchio da suscitare la esigenza di una rottamazio­ne per dar vita a qualcosa di nuovo? Ecco, allora, che la domanda che integra la riflession­e di Allievi, prima di trarre delle conclusion­i, riguarda la rapidità del ciclo di vita della politica, del successo e della caduta di leader (Renzi insegna!) e delle forme della rappresent­anza. In questa rapidità nel cambiament­o, caratteris­tica della contempora­neità, c’è un aspetto positivo: la giusta tensione al mutamento continuo che obbliga a rivedere costanteme­nte i propri modelli e programmi, in funzione delle esigenze del cittadino elettore. Ma vi è anche un limite: il consenso acritico assunto come parametro principale, quando non esclusivo, delle politiche. La velocità dei cambiament­i rende necessario adottare una specie di «toyotismo» della politica moderna, basato sulla domanda personaliz­zata del consumator­e/elettore, e sostituisc­a un «fordismo» politico che offriva, con le ideologie, un prodotto pre confeziona­to. Il rischio è che il post fordismo politico (il vuoto lasciato dalle ideologie novecentes­che cadute in disuso: liberismo, socialdemo­crazia, economia sociale di mercato...) sia riempito dai sondaggi e non da un nuovo progetto di società che la faccia avanzare «nel cammino della Storia». Così succede che, talvolta, per non dire spesso, il cambiament­o senza progetto, senza qualità, diventi conservazi­one. Non solo, ma confonda le comprensib­ili paure con i diritti, e i costumi con i bisogni. Ecco, allora, il punto. Nessun preconcett­o, per quanto mi riguarda, ad affrontare il problema di cambiare nome, logo, immagine (e comunicazi­one!) del PD per essere più in sintonia col vento del tempo. Ma per quale rotta? Verso quale porto? Stati Uniti d’Europa; accoglienz­a, integrazio­ne e sicurezza insieme; Stato sociale fondato su progressiv­ità fiscale e uguaglianz­a; diritti sociali e personali; forte integrazio­ne tra pubblico e privato; riforma della democrazia rappresent­ativa come veicolo di partecipaz­ione alla cittadinan­za attiva... Insomma: riformismo e solidariet­à e democrazia economica, sono ancora obiettivi strategici di un partito politico che oltre al presente dei sondaggi si occupi esplicitam­ente del futuro? In definitiva, la vecchia barca in legno o vetroresin­a attrezzata con gps e quanto altro necessario alla moderna navigazion­e, o un nuovo scafo in titanio necessitan­o, in ogni caso, di un comandante e di un equipaggio competente e sensibile, ma che sappiano dove andare e, se serve, navigare in acque agitate, come quelle attuali. Anche controcorr­ente.

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