Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Caso Autostrade, il ruolo dei privati e la pubblica utilità
Le cose non stanno così. L’impresa privata ha la capacità di convertire una parte dei profitti privati in pubbliche utilità e oggi ha gli strumenti giuridici e gestionali per farlo. Gli Stati Uniti sono stati i primi a prevedere la forma giuridica Benefit Corporation, un modello intermedio tra impresa for-profit e no-profit. L’Italia è l’unico altro Paese ad averli seguiti e dal 2016 le nostre imprese possono assumere la forma di Società Benefit (ad oggi sono circa 200). Chi lo fa, dichiara nello statuto che l’impresa integra lo scopo della divisione degli utili per i soci (lucky few) con l’impegno a perseguire benefici comuni per una più ampia platea di stakeholder (happy many). In più, può farsi certificare l’impatto generato. La trasformazione delle concessionarie di pubblici servizi in Società Benefit è una via d’uscita allo scontro ideologico in atto tra nazionalizzazione e privatizzazione. Immaginate se alcune concessionarie diventassero Società Benefit, impegnandosi a rendicontare pubblicamente il beneficio realizzato. Immaginate i processi di imitazione attivabili nel proprio settore (come ha fatto l’americana Patagonia nell’abbigliamento sportivo) o lungo la filiera (come ha fatto l’italiana Olio Carli con la Filiera della Bontà). In questo quadro, merita un cenno la funzione della proprietà familiare delle imprese, implicitamente attaccata per effetto della quota detenuta dai Benetton in Autostrade per l’Italia (concessionaria del tratto autostradale in cui è avvenuto il disastro di Genova). Per definizione, le famiglie imprenditoriali hanno obiettivi di lungo periodo che vanno oltre il profitto e che si estendono a fattori di non economici (valori, cultura, reputazione, continuità), spingendole ad avviare iniziative a beneficio di comunità, territori e ambiente. Non dimentichiamolo.