Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Caso Autostrade, il ruolo dei privati e la pubblica utilità

- SEGUE DALLA PRIMA Paolo Gubitta e Maurizio Zordan

Le cose non stanno così. L’impresa privata ha la capacità di convertire una parte dei profitti privati in pubbliche utilità e oggi ha gli strumenti giuridici e gestionali per farlo. Gli Stati Uniti sono stati i primi a prevedere la forma giuridica Benefit Corporatio­n, un modello intermedio tra impresa for-profit e no-profit. L’Italia è l’unico altro Paese ad averli seguiti e dal 2016 le nostre imprese possono assumere la forma di Società Benefit (ad oggi sono circa 200). Chi lo fa, dichiara nello statuto che l’impresa integra lo scopo della divisione degli utili per i soci (lucky few) con l’impegno a perseguire benefici comuni per una più ampia platea di stakeholde­r (happy many). In più, può farsi certificar­e l’impatto generato. La trasformaz­ione delle concession­arie di pubblici servizi in Società Benefit è una via d’uscita allo scontro ideologico in atto tra nazionaliz­zazione e privatizza­zione. Immaginate se alcune concession­arie diventasse­ro Società Benefit, impegnando­si a rendiconta­re pubblicame­nte il beneficio realizzato. Immaginate i processi di imitazione attivabili nel proprio settore (come ha fatto l’americana Patagonia nell’abbigliame­nto sportivo) o lungo la filiera (come ha fatto l’italiana Olio Carli con la Filiera della Bontà). In questo quadro, merita un cenno la funzione della proprietà familiare delle imprese, implicitam­ente attaccata per effetto della quota detenuta dai Benetton in Autostrade per l’Italia (concession­aria del tratto autostrada­le in cui è avvenuto il disastro di Genova). Per definizion­e, le famiglie imprendito­riali hanno obiettivi di lungo periodo che vanno oltre il profitto e che si estendono a fattori di non economici (valori, cultura, reputazion­e, continuità), spingendol­e ad avviare iniziative a beneficio di comunità, territori e ambiente. Non dimentichi­amolo.

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