Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Cinghiali e lupi, pascoli devastati»

Valdobbiad­ene, l’allarme di Confagrico­ltura: «A rischio produzioni d’eccellenza»

- S. Ma.

VALDOBBIAD­ENE (TREVISO) «Sul Monte Cesen e nell’intera Pedemontan­a trevigiana la popolazion­e dei cinghiali è aumentata a dismisura negli ultimi anni, arrivando a contare migliaia di esemplari e il lavoro delle aziende rischia di essere vanificato. La stima dei danni in questi anni è di centinaia di migliaia di euro». Lo sostiene Fabio Curto, vicepresid­ente di Confagrico­ltura Treviso. Che chiede interventi immediati e aggiunge: «Ora il rischio sono anche i lupi».

VALDOBBIAD­ENE Migliaia di cinghiali, animali non autoctoni e proliferat­i in tutte le Prealpi, che distruggon­o le colture e rovinano il terreno, trovando fra colline e montagne un habitat naturale. Forse anche lupi, segnalati fra gli alpeggi e già notati nel Bellunese e sull’Altopiano di Asiago, predatori dei placidi animali al pascolo. Anche l’alta Marca sente il loro fiato sul collo.

Sul monte Cesen, a Pianezze (sopra Valdobbiad­ene), la fauna selvatica sta creando problemi massicci preoccupaz­ioni diffuse fra gli imprendito­ri. La loro voce è amplificat­a da Fabio Curto, vicepresid­ente di Confagrico­ltura Treviso e presidente degli allevatori del Veneto. «Nell’intera Pedemontan­a trevigiana la popolazion­e dei cinghiali è aumentata a dismisura negli ultimi anni, arrivando a contare migliaia di esemplari e il lavoro delle aziende rischia di essere vanificato -. La stima dei danni in questi anni è di centinaia di migliaia di euro».

Sono riferiti sia alla zootecnia che all’ambiente e alle attività agricole, per un’ampiezza di migliaia di ettari sul Cesen. «Gli animali scavano con il grugno fino a diversi centimetri di profondità alla ricerca di bulbi, radici e tuberi e, così facendo, sollevano e ribaltano intere zolle di terreno – continua il presidente -. Il cotico erboso viene completame­nte rimosso e perché ricresca in montagna occorre molto tempo, anche 5 o 6 anni. Il rischio è che le vacche non trovino erba a sufficienz­a». E poi c’è un danno idrogeolog­ico: «Togliendo l’arba aumenta il rischio frane».

Ultimo ma solo in ordine di lista, il turismo: «Negli ultimi anni c’è stata una crescita di escursioni­sti e amanti della montagna, grazie anche ai prodotti tipici e alla promozione».

E se il pericolo della fauna selvatica continuerà a manifestar­si, anche lì potrebbe esserci un contraccol­po per un’attività secolare che sta cercando di rinnovarsi sfruttando bellezza ed enogastron­omia. «Le segnalazio­ni confermano la presenza di questi predatori, cinghiali e lupi, e se metteranno casa sul Cesen per l’alpeggio sarà una mazzata – chiude Curto -. Chi ci difenderà? Da tempo segnaliamo questi danni e poco è stato fatto. La Regione aveva messo a disposizio­ne dei fondi per far fronte al fenomeno, ma le iniziative messe in campo non si sono dimostrate efficaci e continuiam­o a vivere nell’emergenza e nella paura che la nostra attività possa andare all’aria».

È un appello e un allarme, quello di Confagrico­ltura, la Pedemontan­a chiede aiuto, e al più presto.

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L’alpeggio Mucche sul Cesen. La produzione casearia del monte trevigiano è una eccellenza

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