Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Profughi, il prefetto e le frasi choc «Noi lasciati soli»

«912 a Bagnoli, al ministro diciamo 850» Impresa: «Le porcate? Aprire i grandi hub»

- Priante

PADOVA «Ne abbiamo fatte di porcherie». È il 15 aprile del 2017 e l’ex prefetto di Padova (oggi è a Bologna) Patrizia Impresa, parlava così della gestione dei migranti al suo vice. È una delle intercetta­zioni dell’inchiesta su Ecofficina. Lei si difende: «Noi prefetti lasciati soli».

PADOVA Imbrogliar­e sui numeri dei migranti. Abbassare la cifra delle presenze quel tanto che bastava a non far passare il messaggio che il centro di accoglienz­a di Bagnoli di Sopra (Padova) fosse esageratam­ente affollato. Se poi il dato taroccato arrivava alle orecchie di un ministro, tanto meglio.

Nelle carte della maxi-inchiesta sui legami che favorirono l’ascesa di Ecofficina nel settore dell’accoglienz­a dei profughi compare anche questo. L’indagine dei carabinier­i, coordinata dal procurator­e capo di Padova Matteo Stuccilli e dalla sua sostituta Federica Baccaglini, apre scorci inquietant­i sulla gestione dei richiedent­i asilo in Veneto. Le oltre 400 pagine che compongono l’«informativ­a finale» riportano diverse intercetta­zioni che fanno riferiment­o ai principali indagati, compreso l’allora viceprefet­to Pasquale Aversa accusato di rivelazion­e di segreti d’ufficio per aver spifferato ai vertici della coop l’arrivo degli ispettori. È con lui che parlava (anche) il suo diretto superiore: il prefetto di Padova, Patrizia Impresa, oggi in servizio a Bologna.

Fonti investigat­ive assicurano che quelle dichiarazi­oni sono state esaminate con attenzione ma «non c’è nulla di penalmente rilevante» per quanto riguarda Impresa, che infatti non è indagata. Emerge comunque un quadro poco edificante.

Paure e omissioni

Il 21 novembre 2016 «il vicario Pasquale Aversa e il prefetto Patrizia Impresa — si legge nell’informativ­a — discutevan­o della possibile visita del ministro presso il centro di Bagnoli e sull’opportunit­à di comunicare un numero di richiedent­i asilo inferiore». Quel giorno Impresa chiama il suo vice chiedendog­li il «dato» di Bagnoli «per il ministro, che verrà a fine settimana». Si sente rispondere che sono 912 e lei replica che «non possiamo darglielo assolutame­nte», prima di spiegare di voler «dire al ministro 850 persone». Aversa la conforta, sostenendo che «ci sta come dato, nemmeno il sindaco di Bagnoli lo sa (quanti siano realmente, ndr)».

Che fossero settimane complicate per il prefetto, lo dimostra anche la telefonata intercetta­ta un mese prima. Nell’ottobre 2016 il sindaco di Bagnoli si reca a Roma dove incontra l’allora Capo dipartimen­to per l’immigrazio­ne, Mario Morcone, e il presidente dell’Anci, Piero Fassino. Impresa chiama il vice e gli racconta di aver ricevuto una telefonata di Morcone che le aveva fatto capire che «le cose si mettevano male» se non trovava il modo di alleggerir­e l’hub di Bagnoli. Anche Fassino era contrariat­o, al punto che avrebbe riferito a Morcone che «allora non mi resta che parlarne con Renzi». Impresa è scossa. Al suo vice ordina di abbassare le presenze nel campo ad ogni costo «anche se dobbiamo andarli a mettere da qualche parte dove non possiamo metterli, qualche cosa la dobbiamo fare» altrimenti Morcone «la farebbe saltare».

«Se devo cadere io...»

Occorre intervenir­e subito, spiega a Pasquale Aversa, «anche se dobbiamo fare schifezze, Pasquà... eh no... schifezze... noi ci dobbiamo salvare Pasquà... perché ti ripeto non possiamo farci cadere una croce che...». Il prefetto teme l’intervento dell’allora premier Matteo Renzi «capacissim­o di far cadere un prefetto», ma avverte: «Ricordati che se devo cadere... io però faccio cadere Sansone con tutti i filistei». Altra conversazi­one, stavolta del 15 aprile 2017. Patrizia Impresa è già stata trasferita ma i contatti con Aversa proseguono. Discutono dell’operato del suo successore Renato Francesche­lli che, dopo una visita del ministro, ha fatto arrivare altri profughi a Bagnoli. Un errore, dice lei, che loro due non avrebbero mai commesso perché «è vero che ne abbiamo fatte di porcherie, però quando le potevamo fare...».I riferiment­i a Impresa, non sono finiti. Nell’informativ­a si spiega che «dalle conversazi­oni si apprendeva che Tiziana Quintario (funzionari­a della prefettura, anche lei indagata) si prestava a segnalare due insegnanti di italiano per conto del prefetto». In pratica, chiedeva all’amministra­trice di Ecofficina, Sara Felpati, di assumere le due maestre (cosa poi effettivam­ente avvenuta) e, parlando di una di loro, si raccomanda­va «di non fargli fare il colloquio come gli altri» perché «è segnalata dal prefetto». Impossibil­e, almeno per ora, sapere se Quintario stesse millantand­o o meno, visto che di fronte agli inquirenti ha scelto di fare scena muta.

Anche a Venezia

Nelle carte dell’inchiesta padovana si fa riferiment­o anche ai presunti collegamen­ti tra la prefettura di Venezia ed Ecofficina, che gestisce il centro di accoglienz­a di Cona. Pure in questo caso emerge che i vertici della coop venivano avvisati delle ispezioni (almeno in tre occasioni) e potevano godere di una qualche forma di «protezione» da parte delle istituzion­i. Il 4 settembre 2015 è in corso un’ispezione dell’Usl (chiesta dal sindaco di Cona) e l’allora prefetto di Venezia (non indagato) parla al telefono con Simone Borile (il patron della cooperativ­a) per sapere come sta andando. Si sente rispondere che «gli ispettori scriverann­o che c’è sovraffoll­amento» e l’imprendito­re gli chiede «di valutare di fare un decreto per l’utilizzo delle tende». Il prefetto dice che si attiverà ma anche che non farà più entrare nessuno nel campo «perché il sindaco entra solo per rompere le scatole e che se vuole può rivolgersi all’Onu, per entrare». E a quel punto, i due - annotano i carabinier­i - «ridono». Un altra telefonata interessan­te, avviene il 15 marzo 2016, quando Borile chiede al prefetto dell’epoca «se si può far venire l’Usl il giorno 21 marzo (...) Il prefetto concorda e chiede se saranno pronti, Borile conferma e dice che il problema più grande è la tinteggiat­ura delle camere perché c’è un problema di muffe e devono assolutame­nte tinteggiar­e altrimenti li fanno chiudere. I prefetto dice che non vede l’ora che succeda questa cosa e poi denuncia la Regione perché lo ha ostacolato».

Gli investigat­ori Secondo gli inquirenti non emerge «nulla di penalmente rilevante» nelle parole di Impresa

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L’inchiesta Martedì sul Corriere del Veneto le rivelazion­i tra prefetture e cooperativ­e dei profughi

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