Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Alverà, nessuno fermò Catturani»
Chiuse le indagini sulla frana in cui morì il medico. La Procura: «Servivano degli allarmi»
Sono molti gli avvocati che si stanno recando in Procura in questi giorni per fotocopiare gli atti sull’inchiesta della frana provocata dall’esondazione del torrente Bigontina ad Alverà. Quel tratto della strada provinciale 48, in località Rio Gere, era inserito nei piano dell emergenza comunale dal 2007. Nella notte del 5 agosto 2017 sul Cristallo si abbattè una bomba d’acqua che causò una colata di detriti. Una frana spaventosa che travolse l’auto in cui viaggiava la dottoressa Carla Catturani (61 anni di Cortina), ex anestesista del Codivilla, in pensione. Un incidente che non le lasciò scampo.
Ora la Procura ha chiuso ufficialmente le indagini, notificando il passaggio ai quattro indagati: Sandro D’Agostini, 55 anni, in qualità di dirigente di Veneto Strade Spa dal 2002 al 31 dicembre 2016; l’ex sindaco Andrea Franceschi, 40 anni, in carica dal maggio 2007 al 9 luglio 2016; Stefano «Adriano» Verocai, 57 anni, assessore al Lavori pubblici di Cortina d’Ampezzo dal 15 maggio 2012 e all’agosto 2017; Stefano Zardini Lacedelli, 63 anni, dirigente amministrativo del comune di Cortina con delega di responsabile del servizio urbanistica e opere pubbliche, manutenzione ed ecologia dall’1 luglio 2013 all’agosto 2017. Sono accusati di omicidio colposo, sia per colpa generica sia per colpa specifica perché non avrebbero applicato l’articolo 13 del decreto legislativo 285 del 1992 sulle «norme per la costruzione e la gestione delle strade». La Procura addebita loro di non aver allertato o impedito «a Carla Catturani di percorrere con la propria autovettura il ponte di Rio Gere, di notte, durante un forte temporale».
Il pubblico ministero Roberta Gallego contesta all’ex dirigente di Veneto Strade, gestore di quel tratto di strada «ripetutamente interessato ad eventi franosi e colate detritiche, nonché da ripetute esondazioni scatenate» da improvvisi e violenti temporali, di non aver predisposto «idonei presidi di allarme componibili da centraline, ecometri, stazioni semaforiche, terminale di segnalazione, sirene di avvertimento o luci a faro attivabile mediante un sistema di tiranti o fotocellule» né «mediante presidio umano, alle prime avvisaglie di smottamenti» per poter bloccare in tempo il traffico di mezzi o persone. Un territorio, quello incluso nell’«area a rischio idrogeologico 4», scrive ancora la Procura, dunque molto elevato. A Franceschi, Verocai e Zardini Lacedelli viene addebitato di non aver deliberato, progettato, predisposto di «realizzare e far installare» un sistema di preallarme adeguato. Non avrebbero inoltre sensibilizzato abbastanza la popolazione sugli accorgimenti da adottare in caso di bombe d’acqua.