Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Minacciata per anni e uccisa a Lonigo Il calvario di Tanja «Non è stata protetta cambiamo le leggi»
Magistrati e politica, scontro sulle «misure»
VICENZA La morte di Tanja Dugalic, uccisa dall’ex che aveva denunciato per maltratta- menti, riapre il dibattito sulle misure di protezione per le donne vittime di abusi. Per la senatrice Daniela Sbrollini, «servono leggi più severe». Il pm che indaga: «È stato fatto tutto il possibile per evitare questa tragedia».
VENEZIA Due femminicidi nell’arco di poche ore: due donne vittime dei loro mariti, nel Vicentino. C’è la macabra vicenda di Paola Bosa, trovata impiccata nella sua casa di Pianezze giovedì sera, col sospetto che il marito Valter Magrin l’abbia stordita con dei farmaci prima di infilarle il cappio affisso a una trave. E c’è la storia tragica di Tanja Dugalic, che abitava a Orgiano e che aveva denunciato in diverse occasioni le minacce e le botte ricevute dall’ex coniuge, Zoran Lukijanovic. Lui l’ha uccisa venerdì mattina, con tre colpi di pistola. Poi, come Magrin, si è tolto la vita.
Quest’ultimo caso, in particolar modo, presta il fianco a chi sostiene che le donne vittime di violenza non siano tutelate a sufficienza. Perché Tanja aveva segnalato i maltrattamenti, e infatti l’ex marito aveva il divieto di avvicinarsi a lei. Nonostante questo, a febbraio la donna aveva accettato di incontrarlo e lui l’aveva massacrata di botte. Arrestato, era uscito di prigione il 5 aprile, finendo ai domiciliari. Tornato libero dopo un paio di mesi, aveva ripreso a perseguitarla, stavolta con messaggi del tipo: «Se non torniamo insieme mi ammazzo e ammazzo te».
Il 20 luglio il sostituto procuratore Maria Elena Pinna (la stessa che, per un caso del destino, si trova ora a indagare sul delitto) aveva chiesto di portare in carcere Lukijanovic, misura concessa appena tre giorni dopo dal gip Massimo Gerace. Ma quando i carabinieri sono andati a prelevarlo, l’uomo era già fuggito in Serbia dove è rimasto fino alla notte di giovedì, quando è rientrato in Italia per uccidere l’ex moglie, all’alba del giorno successivo.
«È stato fatto tutto il possibile per evitare questa tragedia» assicura il sostituto procuratore che sta seguendo il caso. «Oltre alle misure restrittive, a giugno Lukijanovic aveva accettato una separazione consensuale dalla moglie, si lasciava seguire da psicologi e assistenti sociali. Sembrava aver imboccato una strada di redenzione, interrotta quando ha ripreso a intimidire l’ex coniuge. Ma a quel punto è stato subito disposto il suo arresto. In questo caso, mi sento di assicurare che esisteva una “catena
Il magistrato
C’era una “catena di protezione” intorno alla vittima. Ma non si può tenere in prigione per sempre chiunque dia segni di aggressività
di protezione” intorno alla vittima. Purtroppo, anche se la Giustizia fa di tutto per prevenire un delitto, di certo non può tenere in prigione per sempre e in via preventiva chiunque dia qualche segno di aggressività». Resta il fatto che Tanja Dugalic è stata uccisa. «È terribile - conclude Pinna - ma questa storia non può minare la fiducia delle donne nello Stato: chi subisce abusi deve sapere che magistratura e forze dell’ordine faranno di tutto per proteggerle. Occorre denunciare, sempre e subito».
Per Elisabetta Borsatti, l’avvocato a cui Tanja si era rivolta, però «è evidente che qualcosa nel “sistema” non ha funzionato. Dal punto di vista giudiziario le misure sono state emesse e in tempi rapidi. Il problema è che poi quelle stesse misure non sono state applicate: occorre capire come sia stato possibile che Zoran Lukijanovic, che era ricercato, sia tornato dalla Serbia senza essere su-
L’avvocato di Tanja Qualcosa nel “sistema” non ha funzionato. Le misure sono state emesse in tempi rapidi, ma poi quelle stesse misure non sono state applicate
La vittima di violenza Molte donne stanno perdendo fiducia nell’efficacia del denunciare il proprio persecutore. E questo è estremamente pericoloso
bito intercettato e arrestato. Forse andava monitorato meglio, ad esempio con un braccialetto elettronico».
Per la senatrice del Pd, Daniela Sbrollini, il delitto di Lonigo dimostra che «non si fa abbastanza per fermare questo massacro». Il quarto Rapporto Eures conferma che nel 2016 il numero dei «delitti di genere» è tornato a crescere. «Non possiamo nascondere che anche gli organi predisposti alla prevenzione e alla Giustizia risultano troppo spesso inefficaci. Colpisce infatti che, tra i femminicidi segnati da violenze pregresse, nel 44,6% dei casi la vittima aveva denunciato l’autore senza tuttavia ottenere una “protezione” idonea a salvarle la vita». La soluzione? «Famiglia, scuola, assistenti sociali, Giustizia, devono fare di più. Ma anche a livello normativo - conclude la parlamentare - serve il coraggio di agire con leggi più attente, sensibili e, se serve, severe».
Allo stesso modo la pensa Laura Roveri, veronese che nel 2014 fu vittima di violenza da parte del suo ex fidanzato, che la accoltellò con 16 colpi: «Molte donne stanno perdendo fiducia nell’efficacia del denunciare il proprio persecutore. E questo è estremamente pericoloso. La rete di protezione esiste, ma restano dei “buchi” nei quali si insinua il pericolo. Siamo un Paese che, in questo ambito, è troppo garantista: se un uomo violento dimostra di non riuscire a cambiare, va messo subito in galera e lì ci deve rimanere fino a quando non conclude un percorso di maturazione che lo porti a comprendere la gravità di ciò che ha fatto. Altrimenti, la piaga dei femminicidi non potrà mai essere sconfitta».