Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LO STATO E I SUOI SUPPLENTI
La provocazione dell’imprenditore Gian Lorenzo Marinese è di quelle capaci di disvelare un intero meccanismo, un mondo insieme di ipocrisia e di incompetenza, mostrando quello che nessuno vede: che il re è nudo, anche se non lo vuole ammettere.
Ricordiamo i fatti. Marinese, titolare della Nova Facility, è un imprenditore dell’accoglienza agli immigrati. Sì, fa business con gli immigrati: gestisce gli hub della «Serena» di Treviso, della «Zanusso» a Oderzo, e l’ex hotel Winkler a Vittorio Veneto. Con la sua società ha vinto anche un appalto che scotta: quello della base di Cona, soffiandola a un’impresa da tempo sotto inchiesta, la Ecofficina, poi diventata Edeco, legata ad alcuni ambienti di centrodestra. E non al massimo ribasso, riducendo servizi già scadentissimi: ma migliorando la qualità di un’accoglienza finora a livelli inaccettabili. Le nuove regole volute dal ministro dell’interno Salvini impongono tuttavia di rivedere tutti gli appalti non ancora attivati, per ridurre i costi: con il risultato paradossale che la base continuerà ad essere gestita da Edeco, nonostante il pessimo lavoro svolto e i pesantissimi rilievi della magistratura, che coinvolgono anche alcune prefetture venete. Marinese dà persino ragione a Salvini nel dire che si può spendere di meno dei famosi 35 euro al giorno (anche se altri paesi spendono di più: la differenza è che non fanno accoglienza, limitandosi a vitto e alloggio, ma curano processi di integrazione culturale e lavorativa che funzionano).
Dove sta allora la provocazione? Come ha detto Marinese, nella proposta di regalare le quote societarie di Nova Facility (170 dipendenti, sette milioni di fatturato) allo Stato: in modo che la gestisca quest’ultimo, l’accoglienza, se è convinto che si possa fare di meglio e a meno.
Ecco: è questo che fa vedere che il re – lo Stato (ma anche la Regione) – è nudo. E’ qui che il disvelamento si compie: perché ha ragione l’imprenditore.
Di principio, centri di accoglienza grossi come quelli gestiti da Nova Facility nemmeno dovrebbero esistere – se non come soluzione a breve termine, di puro smistamento – se si vuole produrre non solo accoglienza ma integrazione, cioè processi per cui una persona proveniente da un altro paese, cultura e lingua impara a muoversi e, appunto, a integrarsi con successo in un contesto diverso, in autonomia. Infatti molte realtà del terzo settore si sono rifiutate di partecipare ai bandi di gestione di queste strutture, proprio perché consapevoli che non rispondono allo scopo.
Se esistono è perché lo Stato – sull’onda dell’emergenza sbarchi degli anni scorsi – non sapeva cosa fare, e ha chiesto a dei privati di farsene carico. Chi fa questo lavoro ha svolto dunque un servizio che lo Stato non sapeva svolgere: andrebbe pagato e ringraziato, oltre che coordinato con linee guida stringenti e controllato ferreamente dal punto di vista del servizio erogato, cosa che purtroppo non è avvenuta in passato e continua a non avvenire ora. Aggiungiamo che se questi servizi sono stati necessari, è anche perché una Regione che chiede sempre maggiore autonomia su tutto, su questo tema si è ben guardata dal farlo, istigando anzi i sindaci a rifiutare persino l’accoglienza diffusa, che avrebbe reso questi hub semplicemente inutili.
Ora, integrare i nuovi arrivati è un compito fondamentale dello Stato: come garantire l’alfabetizzazione e l’istruzione di tutti.
Perché è un interesse della società evitare conflitti, favorire un inserimento funzionale e garantire più sicurezza. Bene: se lo Stato non lo fa, perché non è capace di farlo, non ha le strutture, la professionalità e l’elasticità, e ha quindi abdicato al suo ruolo, niente di più normale che paghi chi lo fa al suo posto.
Indichi i protocolli, ne controlli l’esecuzione, e paghi il giusto: smettendo di criticare chi agisce, però. O altrimenti, abbia il coraggio di dire (e vale anche per le regioni): saprei farlo meglio, e a meno – lo faccio io. Ma basta con gli ipocriti slogan contro chi tutti i giorni fa ciò che lo Stato non sa fare ma, per il bene della società, è bene che sia fatto.