Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Ucciso dal vigilante, presi i complici del giostraio Major «Fu la guardia a spararci»
L’accusa a Zen. La procura chiede la proroga per gli accertamenti sul Dna
VEDELAGO I carabinieri arrestano i complici di Manuel Major. Uno di loro confessa e mette nei guai Massimo Zen, il vigilante 45enne che sparò e uccise il giostraio 37enne all’alba del 22 aprile 2017 a Barcon di Vedelago. «Quella notte compimmo i colpi insieme, ma non avevamo pistole e non sparammo». Una versione che contrasterebbe nettamente con quella resa dalla guardia giurata, indagata per omicidio volontario, che ha sempre detto di aver sparato per rispondere ai colpi della banda.
La clamorosa svolta è maturata la scorsa primavera, ma è rimasta imbrigliata nelle maglie della giustizia con un’ordinanza di custodia cautelare chiesta dalla procura e respinta dal giudice Angelo Mascolo, che è stata poi confermata da tribunale del Riesame e dalla Cassazione. Perché è nel maggio scorso che i carabinieri del nucleo investigativo coordinati dal sostituto procuratore Gabriella Cama hanno identificato i complici di Major, che misero a segno quello che per il giostraio 37enne sarebbe stato l’ultimo colpo. Si tratta di Euclide Major, 37enne di Treviso cugino di Manuel, difeso dall’avvocato Ilaria Pempinella, e di un giostraio 26enne difeso dall’avvocato Fabio Crea, che proprio ieri si è consegnato alla giustizia. A incastrarli sono state intercettazioni telefoniche e ambientali dalle quali sarebbe emersa la loro presenza, quella notte, sulla Bmw rubata, nella quale fu ucciso Manuel. Ai due la procura contesta sette assalti esplosivi ai bancomat, messi a segno dal marzo all’aprile 2017. E il nodo dell’indagine, ora, sta proprio intorno al 26enne che, in attesa della sentenza della Cassazione sull’ordine d’arresto, nel maggio scorso aveva deciso di farsi interrogare dal pubblico ministero e ha confessato: «Sì, quella notte ero con Manuel. Siamo scappati, ma non avevamo nessuna pistola: è stato il vigilante a spararci addosso». Una versione che sconfesserebbe totalmente quella resa da Massimo Zen, la guardia giurata dei Rangers del Gruppo Battistolli, difeso dall’avvocato Daniele Panico, che quella notte, saputo dalla centrale operativa dell’inseguimento di una banda in fuga dopo un tentato assalto al bancomat, aveva improvvisato un posto di blocco a Barcon e sparato contro i malviventi. Dichiarando di averlo fatto solo per difendersi dai colpi che i banditi avevano esploso contro di lui. Major era morto il 25 aprile per le conseguenze del colpo esploso dalla Glock calibro 9 di Zen, che gli si era conficcato nel cervello. Sul luogo della sparatoria non erano stati trovati bossoli di altre pistole. Solo, poco distante nella vegetazione, un’arma giocattolo che s’ipotizzò potesse essere stata persa dai complici in fuga. Ed è proprio su quella pistola che sono ora concentrate le indagini del nucleo investigativo dei carabinieri. Perché sull’arma i tecnici dei laboratori del Ris di Parma hanno individuato tracce di materiale biologico che non coincide, però, né con quello di Manuel Major né dei complici. Inevitabile per la procura, a questo punto, disporre il test del Dna anche per i carabinieri che, quella notte, arrivarono a Barcon e svolsero i primi accertamenti. Se la pistola non era dei giostrai di chi era?
Una lettera anonima, inviata poco dopo il delitto agli inquirenti, aveva insinuato dubbi sul comportamento dei carabinieri, supponendo che uno di loro avesse gettato l’arma nel verde per aiutare Zen, confermando le sue dichiarazioni. Un’ipotesi che gli accertamenti dei Ris potranno eventualmente smentire. Ieri, intanto, Euclide Major, in carcere da mercoledì, è stato interrogato dal gip e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Mentre il complice 26enne, assistito dall’avvocato Crea, si è costituito al comando provinciale dei carabinieri e si trova ora recluso nel carcere di Santa Bona.