Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Io, geometra vinsi l’Olimpiade imitando gli africani»

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«Sono andato da lui e gli ho detto: mollo tutto ma devo diventare il numero uno al mondo. Lui mi ha cambiato, a cominciare dalle abitudini alimentari, diciamo...»

Cioè?

«Eh, io andavo nei cantieri prestissim­o la mattina, da buon veneto talvolta ero abituato a farmi un bel caffè con la grappa...»

La reazione?

«Mi ha detto: Gelindo, il resto lo vediamo poi, intanto però la grappa la lascerei stare».

Ed è iniziato un periodo di allenament­i scientific­i, durissimi ma che hanno portato a breve risultati straordina­ri...

«Sì, sono stati anni molto duri ma che ho affrontato con grande determinaz­ione e con un’applicazio­ne totale».

Nel 1986 il primo trionfo, l’oro agli Europei di Stoccarda davanti a Pizzolato.

«Orlando ha provato a staccarmi due volte, io sapevo che se fossi stato con lui fino agli ultimi due chilometri lo avrei battuto: le mie origini da crossista mi davano uno spunto che pochi avevano».

L’anno dopo i Mondiali di Roma: un bronzo che ha lasciato l’amaro in bocca?

«Era una giornata afosa, avevo l’ossessione del caldo perché con le alte temperatur­e facevo fatica. Mi sono scosso tardi, ho fatto un diecimila velocissim­o e ho preso il terzo posto, davanti però erano già andati».

E arriviamo al 1988, all’oro olimpico. Da dove partiamo?

«Dalla preparazio­ne: durissima, mi prendevano per pazzo. Facevo anche 250 km a settimana. Ma io sapevo chiedere molto al mio fisico e sapevo che avrei avuto le risposte che volevo. Ero pesante per essere un maratoneta e allora mi dicevo: Gelindo, devi allenarti come gli africani e poi un po’ di più».

Chi ha vissuto quella gara, ricorda soprattutt­o gli ultimi cinque chilometri: il quarto d’ora più lungo della sua vita?

«Direi di sì, eravamo in tre, Wakiihuri ha accelerato, poi Salah ha fatto uno strappo pazzesco, un chilometro in leggera salita a 2’52”... Lì è andato fuori giri, il keniano lo ha seguito e io, dietro, ho capito che il loro passo si faceva più corto. Ho aumentato, li ho ripresi uno alla volta e poi li ho staccati».

Sembrava andare a velocità doppia rispetto ai suoi avversari. Grande gestione?

«Mi ero tenuto una riserva in caso di arrivo in volata, non potevo prevedere il finale».

L’ultimo chilometro, mille metri di passione: cosa ricorda?

«L’ingresso nel tunnel dello stadio, buio e silenzio: poi la pista e il boato pazzesco della folla. Emozioni che non puoi descrivere, impossibil­i da capire senza provarle».

Il ricordo degli sportivi va al suo sorriso, a metà tra la felicità e il dolore, e al bacio alla pista un metro dopo il traguardo.

«Ero consapevol­e di avercela fatta ma la fatica era spaventosa a quel punto, pur se mentalment­e mi ero sciolto. Il bacio alla pista mi è venuto così, se avessi saputo che rialzarmi mi avrebbe provocato uno stillicidi­o di crampi non l’avrei fatto di sicuro».

Al ritorno grandi feste per lei?

«Sì, una di seguito all’altra: a Milano dove abitavo, poi a Verona, a Vicenza, a Longare... mi presi un periodo sabbatico, diciamo».

Nel 1990 la doppietta: oro agli Europei a Spalato e vittoria a Boston...

«Due belle vittorie, di cui sono molto orgoglioso. Soprattutt­o quella alla maratona di Boston: primo italiano a vincere e primo atleta a farlo da campione olimpico».

Bordin, e La sequenza

Gli ultimi metri della maratona trionfale di Gelindo Bordin. E il celeberrim­o bacio alla pista

Il caffè corretto

Andavo nei cantieri prestissim­o la mattina ed ero abituato a bermi un bel caffè con la grappa. Per cui quando andai da Gigliotti dissi: mollo tutto ma devi fare di me il numero uno al mondo. Lui disse: iniziamo dalla dieta...

il 2h01’39” di Kipchoge a Berlino?

«Sta nell’evoluzione naturale degli atleti, nella preparazio­ne, nell’alimentazi­one, nei supporti tecnici. In fin dei conti un milione di anni fa scendevamo dalle piante e iniziavamo a camminare a quattro zampe».

Cosa consiglier­ebbe a un ragazzo che volesse provare a diventare un nuovo Bordin?

«Di lavorare sempre duro e di non aver paura del confronto ad altissimo livello, con tutti. Se devi puntare un gettone, punta forte: e se dovesse andar male, puoi sempre tornare a fare il geometra».

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