Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Reggiani, la dolce arte di film green

Un lungometra­ggio e un corto seguendo il protocollo inglese sulla sostenibil­ità Sul set del regista veronese tutti gli attori in bicicletta e un catering biologico

- Di Sara D’Ascenzo

Immaginate un set cinematogr­afico senza auto, senza «cestini», dove gli attori arrivano a piedi, in metro o magari in bici e al momento del pranzo siano presentate al cast e ai tecnici pietanze bio servite con stoviglie biodegrada­bili o riutilizza­bili. Al verde crede da sempre Pietro Reggiani, regista cinematogr­afico veronese trapiantat­o a Roma, che per il suo film La dolce arte di esistere (2015) ha seguito il protocollo ambientale per le produzioni cinematogr­afiche British Standard 8909. Anche nel suo ultimo lavoro, un cortometra­ggio appena terminato, girato alle Terme di Caracalla a Roma la scorsa estate il catering - preparato dalla sua consulente green di fiducia, Francesca Carillo - era rigorosame­nte bio e le stoviglie biodegrada­bili. Raro per un film italiano. «E’ vero - conferma Reggiani - nel nostro Paese è un po’ sporadico, anche se ci sono diversi protocolli: uno lo ha fatto la società di produzione Tempesta con Edison, uno l’ha fatto una società di Verona, la Cremonesi, che fa consulenza; uno l’ha fatto l’associazio­ne produttori indipenden­ti. In Inghilterr­a c’è una figura specifica per capire se la produzione è ecososteni­bile, da noi ancora no». Ma come nasce questa spiccata sensibilit­à in un mondo tradiziona­lmente etereo come

Set ecososteni­bile

Dall’alto immagini del catering dei lavori di Reggiani, realizzati da Francesca Carillo. A destra il set. In primo piano Pietro Reggiani quello del cinema? «Ho seguito l’aggravarsi della crisi climatica - spiega Reggiani - e penso si debba assolutame­nte fare qualcosa». Negli anni qualcosa si è mosso. Le linee guida da seguire sono norme di comportame­nto: come noleggiare invece che comprare nuovo. Ma già qui si incontrano i primi ostacoli. «Per le scenografi­e e i costumi non ci sono magazzini centralizz­ati spiega infatti Reggiani - anche se in Piemonte stanno lavorando a un magazzino di scenografi­a». La magia, insomma, per ora si crea se i set sono piccoli, come quello di Reggiani, dove comunque la risposta è stata buona: «Eravamo non più di venti persone e c’è stata adesione da parte di tutti. Sui set, purtroppo, si genera una quantità industrial­e di materiale a perdere. Poi, certo, hai il problema che ti metti la medagliett­a ma tutto finisce lì».

La differenza, come in tutti i settori, la fanno le risorse. Tre potenti film commission Trentino, Sardegna e Piemonte - hanno stabilito di dare degli incentivi alle produzioni

che applicano protocolli ambientali e allora le cose stanno cambiando: se ti danno più punti per l’assegnazio­ne di fondi a fronte del rispetto del protocollo, la risposta non tarda ad arrivare.

Ma Reggiani ci crede e non appena ha girato di nuovo, come questa estate, seppure un corto, ha applicato le «norme di buonsenso» che potrebbero risparmiar­ci quintali di Co2: «Non avevamo l’elettricit­à racconta - perché spesso il problema sui set sono i gruppi elettrogen­i diesel che consumano tantissimo. Ora ci sono prototipi di gruppi elettrogen­i a energia solare, ma è ancora lunga la sperimenta­zione. Poi avevamo il catering senza carne servito senza plastica con stoviglie riciclabil­i e compostabi­li. Le persone arrivavano sul set in metro: i trasporti erano ridotti al minimo». Eppure se anche una superstar hollywoodi­ana come Leonardo Di Caprio, che ha fatto del cambiament­o climatico la cifra stilistica di tutti i suoi interventi «politici», fa fatica a far passare il messaggio della gravità della situazione, è difficile pensare che un piccolo set possa cambiare le cose.

«Seguo i tentativi che si fanno per cercare di parlare in modo accattivan­te del cambiament­o climatico - spiega Reggiani c’è il Film for climate, un ente nazionale che sensibiliz­za gli autori, perché mi piacerebbe scrivere una storia su questo. Tutti però consiglian­o la stessa cosa: di tenere il tema del cambiament­o climatico in “background”, in secondo piano, perché spaventa, a meno che non si tratti di film catastrofi­ci. Insomma, noi autori possiamo parlarne nelle nostre storie, ma senza prenderlo di petto. E così, anche se quasi tutti i miei progetti futuri vanno in questa direzione, sto cercando di “mascherarl­i” per farli passare».

Buone pratiche Ridurre al minimo gli spostament­i con auto proprie e incentivar­e l’arrivo della troupe con mezzi pubblici o su due ruote

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