Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Le memorie di Ca’ Foscari in un volume
Da dimora dei Foscari a università: un volume (Marsilio) ricostruisce la storia del palazzo veneziano
È
uno scrigno di memorie l’edificio che ospita l’attuale Università Ca’ Foscari di Venezia. Lo vediamo immortalato nelle vedute di Canaletto, Guardi e Bellotto. Ci hanno soggiornano uomini potenti e teste coronate: il primo re ospitato è stato Enrico di Valois, sul trono di Polonia e in viaggio in quel 1574 verso Parigi dove lo aspettava l’altra corona. Ci hanno lavorato i migliori artigiani, pittori e architetti: «Carlo Scarpa interviene con una dichiarazione di modernità», sottolinea la docente Stefania Portinari. Ci hanno studiato e insegnato alcuni gli intellettuali più importanti del Paese.
Per celebrare la densa trama di storie su cui poggia Ca’ Foscari, è stato presentato ieri
il volume In domo Foscari. Memorie e immagini di un Ateneo, curato da Riccardo Zipoli per le edizioni Marsilio (pagg.224, euro 22). Un vero e proprio progetto editoriale, che ha coinvolto oltre al fotografo (che firma 142 delle 170 immagini) anche 14 docenti e ricercatori cafoscarini. Una sorta di mappa storica e visiva su uno dei palazzi più prestigiosi della città lagunare: «Siamo eredi di un patrimonio scientifico e culturale di assoluto prestigio – sottolinea il rettore, Michele Bugliesi Alla nostra custodia è affidato anche il ricco patrimonio architettonico e artistico dei palazzi in cui la vita universitaria si realizza e che noi, con questo volume, intendiamo valorizzare».
D’altra parte questo è l’anno di un anniversario importante: 150 anni fa, un giorno di agosto del 1868, nasceva la Regia Scuola Superiore di Commercio. L’amministrazione comunale aveva acquistato l’edificio 23 anni prima per farne un nucleo di scuole tecniche. Nel 1913 diventava Represtigiosi gio Istituto Superiore di Studi Commerciali, che nel 1942 acquistava l’adiacente Ca’ Giustinian dei Vescovi, ricucendo la sede in un unico blocco architettonico. Nel 1954 diventava Istituto universitario e infine nel 1968 vera e propria Università.
Oggi è uno degli atenei più del paese. Ma cos’era Ca’ Foscari prima di Ca’ Foscari? Gerardo Tocchini, che qui insegna Storia Moderna, racconta: «La Casa grande sorge sul luogo di una duplice damnatio memoriae. Su quel sedime già grandeggiava un’altra dimora, la Casa delle due torri dei Giustinian, che il Senato aveva acquistato nel 1429, quindi donato e poi requisito a due capitani di ventura, il Gonzaga e lo Sforza, un tempo al servizio della Repubblica e poi traditori».
Nel 1453 il doge Francesco Foscari comprava l’area e abbatteva tutto: dopo quattro anni di lavori, «Ca’ Foscari apparve subito come una dimora prestigiosa e imponente, seconda solo al Palazzo Ducale – continua il docente. Ma la parabola dei Foscari tramontò con la condanna e con la morte in esilio del figlio. Il fascino incredibile del palazzo rimase. E continuò ad ammaliare tutti, anche quando divenne un crogiolo di affittuari Sempre Tocchini ricorda di aver ricostruito tra le carte di archivio la folla di «marangoni, calegheri, ortolani, tagliapietre e attori che ne trasformarono le stanze in magazzini, spacci, laboratori e botteghe varie».
Persino nell’Ottocento, in pieno declino, c’era un’aria seduttrice: «Nel 1823, la corte su cui a metà Cinquecento affacciava il deposito dell’editore Aldo Manuzio e dove poi si tennero tauromachie, fu concessa a una società che praticava un gioco simile al cricket, la pallamaglio. Intorno al 1840, vivevano ancora in poche stanze del palazzo le due ultime anziane discendenti del doge, Laura e Marianna. Il loro appartamento offriva uno spettacolo di rara desolazione».
Quello che esce dal volume è una storia sconosciuta ai più. E gli stessi scorci interni, ora restaurati con cura e messi in piega per una spettacolare sede di rappresentanza e di studio, riverberano proprio gli splendori e le miserie di secoli di storia veneziana. Riccardo Zipoli spiega il lavoro di indagine sul campo compiuto per dar vita al libro: «I soggetti da fotografare sono stati individuati grazie a discussioni con tecnici ed esperti e dopo sopralluoghi interni e degli edifici vicini».
Ne è uscito un ritratto, di spazi conosciuti e di magnifici dettagli: «Ci siamo concentrati sul patrimonio artistico, come le facciate sul Canal Grande, l’aula Mario Baratto, il salone del rettorato; ma anche agli ambienti meno prestigiosi e più legati alla vita di tutti i giorni, dunque all’androne, alle scale, ad alcuni uffici. Ho voluto così suggerire l’idea di un mondo composito che ha le bellezze proprie di un museo d’arte ma che in realtà è un luogo di studio e di lavoro».
I 150 anni
La decadenza nell’Ottocento, poi la nascita dell’università negli anni Cinquanta