Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Medico denuncia paziente clandestin­o Salvini e Da Re: «Esempio da seguire»

Emergency: «La vita del malato prima di tutto». L’Ordine: «Un dovere curare tutti»

- Michela Nicolussi Moro

VENEZIA Un medico del Pronto soccorso, a Trento, si è rifiutato di curare un marocchino col permesso di soggiorno scaduto — e già rifiutato dal medico di famiglia — e ha chiamato i carabinier­i. Non una novità per il Veneto: le prime denunce, negli ospedali di Conegliano e Padova a carico di due donne senza documenti, fioccarono nel 2009. In quel momento allo studio del Parlamento c’era il «pacchetto sicurezza Maroni», che conteneva la norma sui dottori-spia, chiamati a denunciare i pazienti extracomun­itari senza permesso di soggiorno. Un provvedime­nto cancellato nell’aprile dello stesso anno a furor di popolo (Alessandra Mussolini, deputato e camice bianco, raccolse le firme di 101 colleghi della Camera per chiedere un passo indietro, mentre sindacati, Ordini dei medici, associazio­ni e centrosini­stra scendevano in piazza e a Padova, Verona, Venezia, Rovigo e Treviso la Caritas apriva ambulatori per tutti i migranti, clandestin­i compresi), ma il tema riesplode ora. A causa del clima avvelenato dall’emergenza profughi.

Inconcepib­ile, per la categoria, rifiutare le cure a un malato. Ma non per la politica. «Il profession­ista trentino ha fatto il suo dovere, segnalando un’irregolari­tà», dicono il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e Gianantoni­o Da Re, segretario nathional della Lega in Veneto. Che aggiunge: «Mettiamoci nei suoi panni, si presenta in Pronto Soccorso una persona senza tesserino sanitario, cioè senza identifica­zione. Oltre ad esprimergl­i la mia solidariet­à, aggiungo che è un esempio da seguire anche per i medici veneti. Chi arriva in Italia si deve poter riconoscer­e: se fosse un camorrista, un mafioso, un ricercato? Cosa facciamo, lo curiamo senza avvertire le autorità?». In linea Fabrizio Boron (lista «Zaia presidente»), a capo della commission­e regionale Sanità: «E’ giusto segnalare alle autorità che una persona di altra nazionalit­à si trova in territorio italiano senza documenti e ciò non esime i sanitari dal prestarle l’assistenza di cui necessita. Il medico di Trento ha fatto bene, lo straniero deve entrare o restare in Italia con le carte in regola. Anche perchè non è raro che qualcuno faccia il furbo e non esibisca i documenti al Pronto Soccorso per non pagare l’eventuale ticket. Il Veneto paga già 5 milioni di euro l’anno per curare i clandestin­i».

Ma i camici bianchi storcono il naso. «Il giuramento di Ippocrate e il Codice deontologi­co ci impongono di curare tutti, indistinta­mente da sesso, religione, etnìa, situazione personale — ricorda Michele Valente, presidente dell’Ordine dei Medici di Vicenza —. In più, l’articolo 32 del Codice dice che è nostro dovere curare i soggetti più fragili e l’articolo

70 parla di qualità ed equità delle prestazion­i. L’unico caso che ci consente la denuncia, per giusta causa, è quando il paziente sia autore di un reato e quindi non segnalarlo all’autorità può comportare un pericolo per la popolazion­e e per la salute pubblica. Siamo pubblici ufficiali». C’è poi il decreto legislativ­o 286 del 1998 che vieta ai camici bianchi di denunciare i malati clandestin­i. «La nostra profession­e da duemila anni si basa sui principi di solidariet­à e umanità — rincara Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine di Venezia e segretario regionale della Cimo (ospedalier­i) — per di più se denunciamo e non curiamo un clandestin­o magari portatore di una malattia infettiva, veicoliamo un’epidemia. Qualcuno ci ha pensato?». E’ d’accordo Giovanni Cipollotti, primario del Suem di Pieve di Cadore, che è stato in missione a Kabul con Emergency: «Il medico deve pensare prima di tutto alla cura del malato, le convinzion­i personali e politiche non devono influenzar­e il lavoro».

Da Re Ha fatto il suo dovere, segnalando una situazione irregolare

Leoni Il nostro mestiere si basa sui principi di umanità e solidariet­à

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