Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Pagano per avere un selfie con l’amica più seguita sul web

Verona, ricerca su problemi e ansie dei giovani

- Sorio

VERONA Lei ha migliaia di fan sui social. I compagni di classe, o di scuola, le chiedono un selfie. E per quel selfie sono anche disposti a pagare 20 euro. Della serie: dentro e fuori dalle aule dei nativi digitali si è vip anche senza esserlo, o meglio, migliaia di «like» su Facebook e Instagram fanno un vip anche senza bisogno di copertine o interviste. È quanto emerge a margine di una ricerca condotta a Verona su 9 istituti, di scuole superiori, cittadini e provincial­i su problemi e ansie dei più giovani.

VERONA Lei ha migliaia di fan sui social. I compagni di classe, o di scuola, le chiedono un selfie. E per quel selfie sono anche disposti a pagare 20 euro. Della serie: dentro e fuori dalle aule dei nativi digitali si è vip anche senza esserlo, o meglio, migliaia di «like» su Facebook e Instagram fanno un vip anche senza bisogno di copertine o interviste.

Perché l’identità si costruisce anche così, postando la foto giusta con la persona giusta, di fatto cliccando. Nel ritratto della scuola ai tempi del web e degli smartphone, allora, c’è posto pure per quell’episodio lì, slegato ma in un certo attinente alla ricerca di un sociologo, Riccardo Giumelli, che ieri in Gran Guardia, a Verona, presentava i risultati di «Noi, persone della società complessa», un’indagine qualitativ­a ricavata da nove focus-group in altrettant­e scuole superiori della città e provincia e commission­ata dalla presidenza del consiglio comunale in collaboraz­ione col Miur Verona: «Credo che quell’episodio del selfie, testimonia­tomi da un genitore fuori dalla ricerca, racconti bene la frattura enorme tra la generazion­e dei professori e quella degli studenti, di fatto nativi digitali. Come può un professore “capire” un episodio così? Eppure è necessario farlo, senza giudicare, per iniziare ad avvicinare queste due generazion­i».

Una, appunto, è la generazion­e dell’esercito dei selfie. Cioè i vecchi autoscatti. che, oggi, sono biglietto da visita, vetrina di sé. E se il proprio sé non basta, meglio avere a fianco qualcuno dalla conclamata approvazio­ne social. Parliamo, di fatto, di quei nuovi sistemi di comunicazi­one che la ricerca di Giumelli, docente di Teorie e pratiche della comunicazi­one all’ateneo scaligero, inquadra all’interno di «una novità profondame­nte attuale, ossia il triangolo pericoloso tra famiglia, scuola e nuove tecnologie. Gli smartphone e il web sono in concorrenz­a con la socializza­zione scolastica di una volta. Si è visto, ad esempio, come i ragazzi imparino molte cose dalle serie tv, che spesso peraltro sono ottime. Ciò, d’altro canto, fa perdere autorità alla scuola, percepita come “indietro”, “non aggiornata” rispetto al mondo contempora­neo. Attenzione, poi: è successo che gli stessi studenti proponesse­ro un “no smartphone day” proprio per provocare una riflession­e in tutti».

L’obiettivo di quei nove «focus group» da 45 minuti, prima con gli studenti, poi con professori e genitori, era del resto «capire i problemi dei ragazzi», dice Giumelli. «Anche perché educare e crescere in una società complessa è una sfida spesso gravosa per i giovani», gli fa eco Margherita Forestan, coordinatr­ice per Verona del progetto europeo Democrazia locale. Morale? Uno dei più grossi, tra quei problemi, è l’ansia da performanc­e: «“Noi siamo una generazion­e di ansiosi”. Oppure “siamo voti che camminano”. Sono alcune delle frasi ascoltate durante gli incontri – spiega Giumelli – La percezione degli studenti, ma a volte anche dei professori, è quella: che se non sei al top, sei uno sfigato». Molto ruota intorno al voto. «I genitori ci hanno confidato: “Siamo così presi dal lavoro, e da una vita in cui il controllo sui ragazzi sembra svanire, che l’unico modo per sapere chi sono i nostri ragazzi è il voto che prendono a scuola”. E così se uno ottiene un bel voto gli si permette di andare in discoteca, o gli si compra lo smartphone, altrimenti no».

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Click Selfie mania, meglio se con un «vip», fosse anche la compagna di scuola più popolare, per sentirsi «qualcuno»

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