Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Ventura e Chievo, doppia sfida: «Così mi rimetto in discussion­e»

L’ex ct: «Tanta adrenalina e ho l’entusiasmo di un ragazzino»

- di Matteo Sorio

Dalla provincia era VERONA partito: Albenga, 1980, Interregio­nale (veniva dal ruolo di vice alla Samp). Dalla provincia riparte ora dopo averne viste tante, di belle (Cagliari, Bari, Torino) e di brutte (l’Italia soprattutt­o): Chievo, 2018, una serie A cui tenersi aggrappati partendo da una presa fin qui pessima.

«La parola giusta è sfida», fa lui, la voce baritonale bassa e pacata, il volto di chi si porta dentro una cicatrice di colore azzurro, di fianco quel presidente Luca Campedelli con cui ogni tanto s’accende il sorriso («Anche sul piano economico sono venuto quasi per amicizia, c’è un bel rapporto da tempo, mi voleva già anni fa ma l’allora ds Sartori pensava che il mio modulo non andasse bene: comunque devo dire che non mi ha mai regalato un pandoro…»). L’immagine: Gian Piero Ventura a Veronello. La stazza del suo curriculum dentro il Chievo più piccolo (-1 in classifica) degli ultimi dieci anni, il club ferito dalla penalizzaz­ione e da un andazzo tipo allarme rosso sul campo e lui da ciò che l’opinione pubblica gli ha rovesciato addosso dopo il mancato mondiale. «Un po’ di sofferenza dentro ce l’ho. Ma come dicevo prima al mio staff: sto bene con me stesso e quando stai bene con te stesso vuol dire che sei felice di essere dove sei, nel mio caso al Chievo». Fotografat­a dalla presentazi­one ufficiale di ieri, quella di Gian Piero Ventura a Veronello è un’immagine estrema. Però (questo dicono le parole in gialloblù) pensata, ragionata, voluta.

«Alla mia età non vado in cerca di una panchina importante. Vado a cercare felicità. E la felicità è il campo: fare calcio che poi è ben diverso da allenare, avere giocatori che ti aspettano, parlare e vivere di pallone con loro. Il Chievo è un’oasi, in questo senso». Due ferite che s’incontrano (quella di Ventura, legata a «ciò che sarebbe potuto essere con la Nazionale e non è stato») e l’idea che da una crisi possa nascere un’opportunit­à. Al sodo: Ventura, 70 anni e terza panchina in Veneto dopo Venezia (1994, in B, esonero dopo nove giornate) e Verona (stagione 2006, retrocessi­one ai playout in C), crede che dalla crisi del Chievo si possa ricavare un domani ancora in A. «Se mi chiedete che sentimento provo rispondo che sono eccitato dalla sfida, ho una voglia feroce e l’entusiasmo di un ragazzino. Sfida che non è facile, vanno recuperati punti. Ma i presuppost­i penso ci siano. Ho trovato un gruppo di spugne, assorbono i concetti e vogliono rimettersi in gioco, come me. Un gruppo che ha bisogno di serenità». Le prime prove di difesa a tre? «Stiamo partendo da zero. In Italia la tattica incide tantissimo e dobbiamo ampliare un po’ le conoscenze per poter avere più opzioni. Se giocheremo così con l’Atalanta? Non so, vediamo…».

Richieste per il mercato di gennaio? «Non ci penso. Se ci fosse bisogno di fare qualcosa credo che il presidente sarebbe il primo a farlo». A dirlo sarà il campo, come sempre del resto. «Venivo qui a seguire il primo Chievo di Delneri, sì. Era avanti, per gioco». L’idea del patron Campedelli: «Onorati di avere Ventura, spero che apra un ciclo lungo, anche se ho il dubbio che per capacità ce lo porteranno via prima». Lui, Ventura, non cerca rivincite. «L’Italia è un capitolo chiuso. La mia storia per il resto parla di risultati. Se avevo altre proposte? Sì, ma al Chievo, ripeto, si può fare calcio». E nel cuore di Ventura questa è già felicità.

La Nazionale Ventura: «L’Italia è un capitolo chiuso, ho rammarico per quello che si poteva fare»

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Al timone Gian Piero Ventura ieri a Veronello insieme al presidente Luca Campedelli: l’ex ct azzurro riparte con il Chievo dopo il flop alla guida della Nazionale italiana

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