Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Bpvi, Zonin e i vertici a processo
Prima udienza a dicembre, 70 faldoni solo dalle parti civili. Prescrizione lontana ma le difese restano fiduciose Rinvio a giudizio per l’ex presidente, Zigliotto e i manager: «Le battaglie si vincono alla fine»
VICENZA A tre anni dall’avvio dell’inchiesta e dopo un percorso lungo e tortuoso in udienza preliminare, ieri il gup del tribunale di Vicenza ha rinviato a giudizio, con le accuse di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto informativo, i vertici dell’ex banca Popolare di Vicenza. Il processo comincerà l’1 dicembre. Ambrosetti, difensore di Zonin: «Le battaglie si vincono alla fine».
VICENZA Ci sono voluti più di tre anni dal giorno in cui caddero gli dei, quel martedì 22 settembre del 2015 in cui i finanzieri in borghese violarono il sancta sanctorum della Popolare di Vicenza e consegnarono un avviso di garanzia con annesso ordine di perquisizione al presidente degli ultimi vent’anni, Gianni Zonin, ma alla fine di una strada lunga e tortuosa il giorno del giudizio è arrivato: l’1 dicembre prossimo, si aprirà in tribunale a Vicenza il processo contro Zonin medesimo e altri cinque imputati, l’ex consigliere di amministrazione della banca (ed ex presidente degli industriali vicentini) Giuseppe Zigliotto, i passati vicedirettori Emanuele Giustini, Andrea Piazzetta e Paolo Marin, l’ex dirigente Massimiliano Pellegrini, tutti accusati dei reati di aggiotaggio, ostacolo alle autorità di vigilanza e falso in prospetto informativo. Il gup, Roberto Venditti, li ha rinviati a giudizio ieri mattina – e, con loro, anche la stessa Bpvi, ora in liquidazione coatta, in qualità di responsabile civile degli illeciti commessi – per il dissesto che ha travolto l’istituto di credito, al termine della diciottesima puntata di una delle udienze preliminari più lunghe e accidentate che si ricordino. Tra gli imputati non figura, per ora, l’ex direttore generale della Bpvi, Samuele Sorato, indagato per gli stessi reati contestati agli altri sei amministratori e top manager ma la cui posizione è stata stralciata per gravi motivi di salute: l’udienza preliminare a suo carico è fissata per il 20 dicembre, quando il processo principale sarà già iniziato.
Il giudice dell’udienza preliminare, dunque, ha accolto in pieno la richiesta di rinvio a giudizio firmata dall’accusa e sostenuta dai due pm della Procura di Vicenza Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi. Nata sulla spinta delle decine di esposti presentati all’autorità giudiziaria dagli ex soci della Popolare, titolari delle azioni della banca il cui valore nominale dapprima era crollato da 62,5 a 48 euro per poi essere del tutto azzerato, l’inchiesta si focalizza per l’appunto sul reato di aggiotaggio, cioè il sostegno artificioso e fittizio del prezzo delle azioni ad opera dei vertici dell’istituto di credito. In pratica, secondo l’ipotesi accusatoria, dal 2012 al 2014 gli attuali imputati avrebbero nascosto alla platea dei soci e dei risparmiatori la reale solidità (o sarebbe meglio dire fragilità) patrimoniale della banca, concedendo inoltre almeno 223 milioni di finanziamenti finalizzati all’acquisto di azioni della Bpvi medesima – le famigerate «baciate» – per realizzare aumenti di capitale «gonfiati» in violazione delle norme. A questo quadretto, già di per sé pesante, si aggiungerebbero i comportamenti mirati a ostacolare il lavoro di accertamento delle autorità di vigilanza, cioè Bankitalia e Bce (Banca centrale europea).
Il fatto che ora si vada verso un processo-monstre è evidenziato da alcune cifre particolarmente significative. Sarebbe arrivato vicino a 10mila il numero di soci-risparmiatori che si ritengono danneggiati dai comportamenti tenuti dagli amministratori e manager di Bpvi e che perciò si sono costituiti parte civile nel processo per richiedere un risarcimento (il totale, per altro, è destinato ad aumentare, poiché ci si potrà costituire fino all’apertura dell’udienza dell’1 dicembre e le associazioni che riuniscono i truffati parlano esplicitamente di centinaia di posizioni ancora in sospeso); gli atti depositati dalle stesse parti civili costituiscono da soli una montagna di carte alta 70 faldoni, che ora diventeranno materia del dibattimento. Non a caso, è opinione diffusa che il tribunale di Vicenza non disponga degli spazi fisici adeguati per ospitare un processo di queste dimensioni, tanto che si è ipotizzato un trasferimento delle udienze a Padova o all’aula bunker di Mestre.
A spostare di sede il processo, con altre motivazioni e soprattutto con diverse finalità, ci avevano provato nei mesi scorsi anche le difese di alcuni imputati (Zonin, Zigliotto, Giustini e Marin). Sostenevano, gli avvocati difensori, che a Vicenza non ci sarebbe un clima sufficientemente sereno per affrontare il dibattimento pubblico, anche a causa della «campagna mediatica che ha coinvolto pesantemente l’autorità giudiziaria vicentina, in ordine a una presunta connivenza della stessa con il potere della Banca Popolare di Vicenza». Della questione è stata investita la Corte Suprema, che, agli inizi di ottobre, ha comunicato la sua inappellabile decisione: il processo a Bpvi rimane nella sua sede naturale, a Vicenza. Salvandolo così, per la cronaca, anche da sicura prescrizione.