Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Insultano i clienti e diffamano la palestra
Condannati due fratelli che facevano i bulli con gli iscritti a un fitness club
MONTEBELLUNA Espulsi dalla palestra per il loro comportamento da bulli, si sarebbero vendicati su Facebook con commenti diffamatori nei confronti del titolare.
Per questo Vincenzo e Roberto Cascetta, due fratelli di 39 e 28 anni di origine campana, sono stati condannati, con rito abbreviato, a una pena di 6 mesi per diffamazione in concorso. I due, fino al 2014, erano stati clienti della palestra «Dolce Vita» di Montebelluna dalla quale erano stati però espulsi, con il divieto di ripresentarsi. Il motivo? Le battute e i commenti offensivi sul peso e il fisico, rivolti agli altri clienti. Inutilmente redarguiti, avrebbero continuato tanto da indurre il titolare a mandarli via. Ma loro si erano vendicati, pubblicando sui propri profili Facebook post nei quali attaccavano il 41enne titolare e insinuavano dubbi rispetto alla regolarità della sua attività: «Ma gli istruttori di quella palestra hanno tutti brevetto e regolare contratto?» e ancora «Ah no lui non emette fattura né scontrini, lui evade… Poi parla male dei meridionali».
Pubblicando anche le ricevute dell’iscrizione in una nuova palestra: «Qui mi hanno fatto regolare fattura, al “Dolce m….” non mi hanno mai fatto ricevuta eppure ho fatto due abbonamenti annuali. Il titolare è famoso perché non rilascia nulla ed è risaputo che fa lavorare istruttori senza contratto». Vari e pesanti anche gli attacchi personali al titolare: «Brutto con le orecchie a sventola Topo Gigio» e alla moglie: «La puoi trovare spesso ubriaca a piedi nudi sui tavoli delle disco». E ancora: «Lavati la bocca cornuto, tagliati i capelli che sembri un topo tanto ci pensa quella grandissima zoccola di tua moglie a pettinarti…» e via di questo tenore con messaggi proseguiti dal luglio al dicembre 2014 quando il titolare li aveva denunciati.
I fratelli, assistiti dall’avvocato Giuseppe Pio Romano, hanno provato a difendersi asserendo che quei messaggi non li avevano pubblicati loro visto che non c’era prova che fossero stati postati dal loro indirizzo Ip. Ma il giudice Umberto Donà li ha riconosciuti colpevoli e condannati.