Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
L’angoscia dei lavoratori: «Una lenta eutanasia»
Tra gli operai in bilico: eravamo fieri della fabbrica, ci hanno fatto vergognare
«È stata una TRISSINO (VICENZA) lenta eutanasia. Ci hanno anestetizzato». Davanti alla Miteni sono rimasti loro, i «vecchi della fabbrica». Quindici persone in tutto. Tutti con minimo altrettanti anni di lavoro sulle spalle. Ci sono gli striscioni, le bandiere dei sindacati. C’è un’auto dei carabinieri che li guarda dalla distanza di pochi metri. Dopotutto, è una manifestazione organizzata, con richiesta giunta in Questura a Vicenza. Ma ha quasi l’aria di essere un ritrovo fra veterani, anche se non uno di quelli in cui si brinda al passato. Questa volta sull’azienda di Trissino incombono gli spettri inquietanti della chiusura. Federico Pellizzaro, delegato Cisl, parla da una sedia pieghevole, particolare che scatena qualche battuta («C’è la tua regia dietro tutto questo?» gli dicono ridendo i colleghi). Per lui i problemi, più che nel 2013, quando si comincia parlare degli allora sconosciuti (almeno all’opinione pubblica) Pfas, sono da retrodatare al 2008. «È l’anno in cui Mitsubishi ed Eni (da cui Miteni, ndr) lasciano l’azienda al fondo Icig. È stata la pietra tombale per questa impresa». L’International Chemical Investors group, sede amministrativa a Francoforte, sede legale (e fiscale) in Lussemburgo è il soggetto che, materialmente, ha deciso venerdì per l’istanza di fallimento. Tra i lavoratori della Miteni, non gode di buona fama. «Da allora zero investimenti - dice Andrea Marinello, operaio di lungo corso - e pensare che quest’azienda era all’avanguardia, quasi fantascientifica. C’era da esserne fieri a lavorarci». Già, «l’orgoglio» Miteni: quelli di essere figli, in fondo, di un laboratorio di ricerca all’avanguardia, la Rimar, di proprietà della Marzotto. Tutt’altra musica, invece, da quando è scoppiato l’affaire Pfas. «Naturalmente i lavoratori hanno la coscienza pulita - spiega Pellizzaro - ma fuori da queste mura, bisogna stare attenti a pronunciare il nome Miteni, per molti, a lavorare qui, c’è quasi da vergognarsi. Nessuno ci ha mai fatto una colpa, ma abbiamo visto come sono cambiate le cose. Una volta si andava al bar, si parlava del proprio mestiere a testa alta. Adesso, invece, la gente se va bene ti compatisce».
La notizia della presentazione di istanza di fallimento
Il delegato Molti faranno festa per la chiusura Ma sbagliano
L’operaio
Lavorare qui, una volta, era motivo di grande orgoglio
1965 L’anno di nascita Lo stabilimento di Trissino nasce nel 1965 come Rimar, acronimo di Ricerche Marzotto
1988 L’unione italo-giapponese Nel 1988 Enichem e Mitsubishi acquisiscono il centro di ricerca e lo trasformano in MitEni
non è stato il classico fulmine a ciel sereno. Era una delle possibilità, dopo il concordato preventivo di giugno. Ma quasi nessuno si aspettava arrivasse così in fretta e in questo momento. Venerdì sera i lavoratori sono stati avvertiti con una catena di Sant’Antonio di messaggi via Whatsapp. Li hanno ricevuti anche persone ormai in pensione. A far visita al manipolo di ex colleghi davanti all’azienda, un presidio che non viene visto da nessuno (l’ingresso, sul lato che dà sulla trafficatissima statale 246 è nascosto da altri stabili) salvo che dai i diretti interessati, c’è anche uno di loro, che preferisce rimanere anonimo. Quand’era operativo era in prima fila in tutte le battaglie sindacali. Alla notifica apparsa sul suo smartphone si è trattenuto - dice dal rispondere con una bestemmia. «Come si fa a ridurre un’azienda del genere in questa situazione? Semplice: niente innovazione, né investimenti... ci hanno mangiato sopra e basta». E pensare che - assicurano i dipendenti - il mercato ci sarebbe eccome. «Alla fine - dice Marinello - le aziende che, in Italia, hanno i permessi per trattare l’acido fluoridrico. E si tratta di prodotti che si continuano a usare».
Cosa accadrà ora? Una delle ipotesi resta la chiusura a Natale. Ai delegati sindacali (e non solo) è arrivata voce di trattative per la cessione. Ci sarebbe, in particolare un candidato, ma c’è molto scetticismo al riguardo.
I lavoratori della Miteni non si tirano indietro alla questione più fastidiosa. C’è gente che, se venisse annunciata la chiusura, festeggerebbe. «Lo sappiamo - conclude Pellizzaro -. E sbagliano. Perché un conto è l’inquinamento storico, un conto quello che viene fatto ora. E, finché gli impianti restano accesi, ci sarà controllo e ci sarà attività di depurazione». Dopo? La domanda si intreccia con quello che sarà il tormentone dei prossimi mesi. Miteni pagherà la bonifica? «Pagheranno i cittadini, in un modo o nell’altro» è la risposta convinta che arriva dai manifestanti.
Intanto, in una nota congiunta, le federazioni chimiche di Cgil, Cisl e Uil, si appellano alle istituzioni. A cominciare da quelle regionali: «Con la risoluzione di agosto - ricordano le sigle - il consiglio ha impegnato la giunta a promuovere azioni volte alla tutela sanitaria, salariale e occupazionale dei lavoratori della Miteni». Ma viene chiamato in causa anche il ministro del lavoro, Luigi Di Maio e la sua collega trissinese Erika Stefani. «Ci aspettiamo un loro intervento».